a cura dell’Ammiraglio Giuseppe De Giorgi*
Il 2 Giugno 1946 l’Italia divenne Repubblica. Dopo la rovinosa sconfitta del secondo conflitto mondiale, la tragedia dell’8 settembre, nacque la Repubblica Italiana. Il Re di Maggio, Umberto di Savoia, partiva per l’esilio in Portogallo. Gli anni che seguirono videro le Forze Armate superare progressivamente l’umiliazione della sconfitta, recuperare credibilità e apprezzamento nell’opinione pubblica nazionale e internazionale.
Passata l’ondata antimilitarista del ’68, la fine della ferma obbligatoria e con la partecipazione crescente alle missioni fuori area, il prestigio dei militari è andato crescendo sempre di più sino a conquistare i primi posti nel gradimento e nella fiducia del popolo italiano. Il contributo determinante dei militari in occasione delle grandi calamità naturali, per ultima la pandemia, hanno ulteriormente consolidato l’immagine positiva delle Forze Armate italiane e la riconoscenza popolare, manifestata in modo corale, plastico negli applausi ai Reparti che sfilano nella parata dei Fori Imperiali, il 2 Giugno.
Anche se quest’anno la parata non ci potrà essere, per ovvie cautele di sanità pubblica, la Festa della Repubblica dovrebbe essere comunque un’occasione per un pensiero alle nostre Forze Armate, soprattutto dopo il concorso di uomini e mezzi dato per combattere la pandemia. Le Forze Armate sono state necessarie, indispensabili, per rimettere ordine e dare impulso all’azione dello Stato per combattere il virus, la vaccinazione in primis, dopo un lungo anno in affanno.
Un esempio di capacità duale dello strumento militare, con buona pace per coloro che non perdono occasione per criticare chi vede le Forze Armate orientate a garantire la sicurezza della Nazione in senso lato e non solo nell’ambito della funzione combattente. Una visione che invece la Marina sostiene da tempo e che è stata parte integrante nella progettazione delle nuove navi dell’intervento legislativo “legge navale” del 2014, finalizzata alla prima tranche del rinnovamento della flotta.
Passata l’emergenza l’attenzione per i militari svanisce, così come la consapevolezza nella classe dirigente della loro rilevanza nella sicurezza e prosperità della Nazione. In tempi normali, diciamo di pace o meglio di non guerra, le Forze Armate sono spesso considerate un accessorio dell’Industria bellica a partecipazione statale, prima ancora che l’estremo pilastro della sicurezza democratica e il presidio dell’interesse nazionale.
Emblematica in tale ottica è la mancanza di una strategia nazionale in cui si inserisca lo sviluppo dello strumento militare, la configurazione delle Forze Armate e il loro bilanciamento organico e capacitivo.
Dopo la Pandemia e in occasione del rilancio dell’Italia si apre un’occasione forse irripetibile per affrontare la “questione militare” nel suo complesso, magari partendo dai fondamentali, fra cui certamente vi è la questione della costante riduzione degli organici, ormai prossimi alla massa critica minima per esprimere capacità operative credibili.
In tale contesto, sarebbe anche il caso di affrontare la delicata questione del ribilanciamento delle risorse umane e materiali destinate alla Difesa fra Esercito, Aeronautica e Marina, non più in base alle priorità esistenti degli anni ’60, ma in funzione dell’evoluzione dello scenario geopolitico e delle attuali minacce alla sicurezza nazionale. A quel tempo, all’Esercito e all’Aeronautica era affidata la difesa della “soglia di Gorizia” contro l’invasione delle orde del Patto di Varsavia, mentre la Marina avrebbe dovuto svolgere un ruolo ancillare alla Marina USA nel Mediterraneo centrale. La Marina era la Forza Armata più piccola in tutti i sensi. I tempi sono cambiati. La (s)proporzione fra le Armi no. La Marina è ancora la più piccola.
Questo è il secolo degli Oceani e del Mare. Il Maritime Century, come lo definiscono gli anglosassoni. Con la sempre maggiore consapevolezza della rilevanza vitale del Mare per la sicurezza e prosperità dell’Italia, dovrebbe essere naturale affrontare la questione marittima e con essa il futuro della Marina, della sua Flotta e dei suoi equipaggi, sia sotto il profilo numerico sia delle loro condizioni di vita. Non sarà impresa facile, non tanto per i costi in gioco (per aumentare la Marina di 10.000 persone sarebbe sufficiente incrementare la spesa d’esercizio di ca 650 milioni di euro all’anno), ma soprattutto per le prevedibili resistenze delle due Forze Armate più “ricche”.
Il fatto che negli ultimi 6 anni i Capi di Stato Maggiore della Difesa siano stati di F.A. diversa della Marina non ha certamente aiutato la causa della marittimità. Visto che anche il prossimo Capo della Difesa sarà dell’Esercito, le prospettive per il prossimo triennio non saranno le più favorevoli. Per questo, come in altre occasioni (vedi le leggi navali) sarebbe necessario l’intervento del Governo e del Parlamento.
Un altro aspetto che a mio parere richiederebbe di essere risolto con urgenza, fra le altre molte criticità che affliggono la Difesa e che non citerò in questo articolo per motivi di spazio, è quello della legittimità dell’uso della forza, al di là della mera autodifesa, in operazioni diverse dalla guerra. È evidente che operare in teatri di guerra-guerriglia come l’Afghanistan o prossimamente il Mali (solo per fare alcune esempi) secondo il Codice penale di Pace è una cinica forma d’ipocrisia. Espone il personale all’iniziativa dell’avversario, penalizzando contemporaneamente la sicurezza del personale e l’efficacia stessa delle operazioni.
È immorale inviare forze militari in teatri operativi di guerra con le stesse norme/vincoli che ne regolano l’impiego quando vanno in un poligono o sono in guarnigione. Non esattamente la formula migliore per essere rilevanti in operazioni reali, con l’aggravante come ho detto di aumentare la vulnerabilità del nostro personale.
Il Parlamento ha affrontato la questione per gli operatori dei Servizi Segreti, approvando l’immunità funzionale per una certa gamma di reati eventualmente commessi in adempimento dei loro compiti istituzionali, ma nulla di simile è stato stabilito per i militari operanti al di fuori della copertura dei Servizi di Sicurezza. Anche la validità delle regole d’ingaggio di fronte alla Magistratura continua a essere molto aleatoria sia per i militari impegnati sulla scena d’azione sia per la catena gerarchica, incluso il livello Governativo, che ne approva l’applicazione.
In sintesi, è tempo di affrontare in modo organico la questione militare, magari partendo dalle due tematiche a cui ho accennato. Sinora la politica non lo ha fatto. Questo Governo di unità nazionale potrebbe essere finalmente nelle condizioni di farlo. Se non ora quando?
Nel frattempo, Buona Festa della Repubblica e un grazie dal profondo del cuore per tutti i militari, gli appartenenti ai Corpi Armati dello Stato, della Protezione civile, del Servizio delle Crocerossine e di tutti i Servitori dello Stato che operano con onore e dedizione per l’Italia, nonostante le difficoltà e talvolta senza la necessaria riconoscenza.
*Capo di Stato Maggiore della Marina Militare dal 2013 al 2015