Il testimone politico tra il vecchio e il nuovo anno è caratterizzato da un sentimento prevalente di sospensione. Per ora, con poche certezze
di Stefano Delli Colli
Gli italiani sembrano esserne ormai più che consapevoli. L’anno appena cominciato muove i primi passi in un clima di attesa, quasi di silenziosa sospensione.
Un recentissimo sondaggio Demos per “la Repubblica” ci dice infatti che gli ottimisti e i pessimisti (che quasi si equivalgono con una leggera prevalenza dei secondi) sono rimasti più o meno invariati rispetto alla fine del 2015, rispettivamente attorno al 25% del totale degli intervistati. Cresce al contrario assai di più il pubblico degli incerti sul futuro (la domanda era: “Come vi aspettate il 2017 rispetto al 2016?”), ora al 50% dal precedente 40 e che si declina sinteticamente in una miscela di timore economico e sociale, ansia quotidiana da sicurezza, apatia e sostanziale resa di fronte a qualsiasi spinta verso il cambiamento e il “nuovo” comunque lo si voglia proporre e chiamare.
La politica non fa eccezione.
In fondo, la sconfitta referendaria di Matteo Renzi; la rapida quasi annunciata successione di Paolo Gentiloni con un esecutivo pressoché identico al precedente ma dalla durata – almeno sulla carta – quasi a termine e in ogni caso dalla navigazione assai perigliosa; il ritorno, al redivivo Senato, di quelle che un tempo si definivano “maggioranze variabili”; la ripresa degli inconcludenti “balletti” sulla nuova legge elettorale; il riemergere dei posizionamenti più o meno tattici…, insomma il ritorno del vivacchiare parlamentare e non, senza grandi scatti creativi e prospettive stimolanti quantomeno enunciate, sono un po’ tutto questo. Per non dire del ripescaggio, per nulla isolato, del vecchio proporzionale stile “pentapartito” di dorotea memoria, che certifica da solo e a sufficienza questa risorgente quasi nostalgica atmosfera.
Un Paese che, nonostante gli inviti al ritrovarsi in un clima di rinnovata pacificazione, resta e resterà ancora diviso quantomeno fino alla prossima tornata elettorale. Come prima del referendum. Per il semplice motivo che non si intravvede, dietro all’ex presidente del Consiglio pur acciaccato e momentaneamente costretto al passo di lato, un nuovo protagonista in grado di alzare il sipario su una diversa rappresentazione della commedia politica nazionale. Il che, tradotto in parole più semplici, vuol dire proseguimento per altri mesi dell’estenuante campagna elettorale fin qui portata avanti senza esclusione di colpi da governo e opposizioni. Il “pro” o “contro” Renzi né più né meno del “pro” o “contro” Berlusconi che non a caso ci ha paralizzato dal 1994 al 2011 e che proprio il renzismo rottamatore soltanto poco meno di tre anni fa aveva travolto quasi senza resistenza.
Ma cosa sarà il “renzismo” senza Renzi? Ecco un bel quesito tra i tanti aperti in questo inizio di 2017 dopo che proprio l’Aventino governativo, opportunamente inaugurato dall’ex premier, ha scaraventato in prima linea la sua squadra (seppur non tutta sconfitta allo stesso modo) senza più il paracadute della voracità declamatoria e operativa dell’uomo di Rignano sull’Arno. E ancora: riuscirà questo “neorenzismo”a integrarsi nel diverso clima anti-sussultorio inaugurato con la guida Gentiloni oppure “strapperà” all’improvviso alla ricerca dell’agognata rivincita elettorale rischiando però di spaccare definitivamente il PD? E, all’esterno, la rete di protezione costruita dal Quirinale sarà in grado di evitare salti nel buio oppure sarà l’ormai prossima decisione della Consulta sulla legge elettorale a togliere ancora una volta le castagne dal fuoco ai partiti, restituendo al sistema politico/parlamentare uno “strumento” sufficientemente maneggiabile per incamminarsi al voto?
Nella sostanziale bonaccia che ha caratterizzato questa fine e inizio d’anno, svettano semmai per capacità di attrazione e discussione soltanto la ultime “trovate”, pressoché contemporanee, di Beppe Grillo su “codice etico” M5S e lotta alle “bufale online” (con irridente, ahimè!, tribunale del popolo…) . (Richiederebbe un commento a sé, invece, il recentissimo harakiri sulle alleanze in Europa….!). Ma limitandoci ai primi due casi, a ben vedere, ci troviamo nel solco già collaudato della sapiente campagna comunicativa antisistema di cui vive l’istrionismo del comico genovese. Solo facendo sempre parlare di sé, nel bene e nel male, scoprendo e alimentandosi delle pulsazioni “contro” degli elettori delusi da tutti gli altri, questo Movimento può sperare di accreditarsi come terzo polo vincente. Anche se trattasi di impresa difficile, specie se si tornerà a un proporzionale più o meno annacquato, avere ragione dell’inevitabile “grande coalizione” che, alla bisogna, si creerà proprio per evitare questo risultato.
Curioso tuttavia che l’ennesima veemente polemica sull’informazione innescata dal grillismo sia avvenuta proprio nel giorno della bocciatura del piano sulle news Rai del direttore editoriale, Carlo Verdelli, con le sue inevitabili dimissioni. Pure qui, però, non si fa mistero di motivazioni che parlano nemmeno troppo velatamente di resistenza alla mancata innovazione nell’ottica di un partitismo che, a dispetto di sempre belle dichiarazioni, non intende affatto far marcia indietro dalla “storica” occupazione di Viale Mazzini.
Insomma, anche in questo caso: avanti piano, quasi fermi…