Prendo spunto da un saggio scritto da Walter De Cesaris “Eravamo Ribelli – Le operaie del tabacco in Italia. Cento anni di lotte per il riscatto e la dignita” (MReditori). L’avvincente storia delle operaie del tabacco ha accompagnato il nostro Paese dalla sua nascita fino alla fine del ‘900. Una vicenda che viene ancora da più lontano ma che, proprio per il processo d’unificazione d’Italia, ebbe un impatto molto significativo.
I termini, “sigaraia” e “tabacchina”, spesso usati come sinonimi, hanno teso a indicare due settori di lavoro differenti, complementari fra loro. Le “sigaraie” erano le operaie delle manifatture dei tabacchi che, dapprima furono poste a confezionare a mano i sigari e poi, con il trascorrere del tempo, vennero adibite anche alla produzione industriale delle sigarette.
Tra la fine del 1800 e il primo decennio del “nuovo” secolo, le stesse, attraverso il loro coinvolgimento nell’attività manifatturiera, furono partecipi della realizzazione di una epocale e sostanziale modifica del consumo del tabacco attraverso il passaggio dal massivo consumo di prodotti da fiuto (che rimasero per una ristretta nicchia di estimatori), a una maggiore diffusione di quelli da fumo. Tale realtà determinò una vera esplosione nel consumo di massa.
Le “tabacchine” erano invece le operaie che coltivavano, raccoglievano e lavoravano negli opifici le foglie del tabacco per trasformarle nel prodotto adatto alla lavorazione successiva, nelle manifatture. Erano lavoratrici stagionali, reclutate con chiamata nominativa, sovente sottoposte a vessazioni, da un sistema dispotico di comando e controllo.
La vita della fabbrica era organizzata quasi sempre in maniera oppressiva e sopraffattoria e le operaie, che rappresentavano oltre il 90% del totale degli addetti, erano inquadrate in un regime di dura vigilanza e controllo, in cui tutti i ruoli della catena di comando erano gestiti da uomini, dal verificatore, sino al direttore dello stabilimento.
Una condizione di lavoro durissima, in ambienti nocivi alla salute, a contatto diretto con le, polveri e vapori malsani. Il tutto ulteriormente aggravato dalla quasi mancanza di sistemi di sicurezza adeguati; da uno sfruttamento massivo del lavoro che portava al reclutamento anche di giovanissime risorse.
Secondo le statistiche, elaborate proprio dalle direzioni delle fabbriche, una operaia su quattro non superava, per motivi sanitari, il periodo di prova, venendo quindi “eliminata”.
Nelle campagne e negli opifici di primo stoccaggio, la situazione non era certamente migliore e le tabacchine, oltre alle malattie legate alla insalubrità specifica del luogo e modalità di lavoro, erano vittime di “incidenti”, “infortuni”, che in realtà erano causati dalla avidità dei grandi proprietari, concessionari delle licenze e dalla conseguente assenza di qualsivoglia strumento di prevenzione.
Eppure, questa storia di violenza e sfruttamento narra di una grande marcia “per il riscatto e la dignità” che queste operaie hanno combattuto; “una storia “al femminile” che si connette con la storia complessa e difficile della nascita del movimento operaio in Italia negli ultimi decenni del l800 e, poi, nella rinascita dello stesso dopo il fascismo con la resistenza e durante la ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale.
La vicenda si intreccia nelle “Manifatture Tabacchi” con la nascita delle Leghe di autodifesa operaia e di Camere del Lavoro, che portò in una fase di scioperi nelle Manifatture e, dopo, a livello nazionale, ad un grande sciopero generale di “tutte le Manifatture del Regno”, che durò due mesi e continuò durante la resistenza, sino all’affermarsi di un movimento più esplicitamente femminista, negli anni 60 e 70.
Nelle campagne del Meridione, in particolare in Puglia, spicca la lotta contro la chiamata nominativa e, dunque alla fine degli anni ’40, la conquista del primo contratto nazionale di lavoro. Storie che parlano di un protagonismo di donne come operaie combattenti contro due mostri: lo sfruttamento del lavoro da un lato e la cultura imperante del patriarcato dall’altro, che relegavano le donne in fabbrica, nella famiglia e nella società, comunque, in un ruolo di subordinazione.
Aver scavato nelle origini e nello sviluppo della tematica trattata, ci aiuta a comprendere qualcosa di ancora attuale oggi: il tema del decoro del lavoro e della non sempre puntuale osservanza delle norme di sicurezza vigenti, fenomeno mai cessato e che continua nella storia a ripetersi.
Siamo rimasti sconvolti nell’apprendere di donne inghiottite da telai e orditoi e morirne. Episodi non isolati all’interno di un contesto ove i dati segnalano l’aumento delle morti e degli infortuni sul lavoro in una condizione generale in cui le donne subirono spesso, sino al XX secolo, incuria e approssimazione nel campo della “prevenzione e salubrità” sul lavoro.
Il lungo cammino per il riscatto e la dignità umana non si è ancora concluso, ivi compreso quello femminile. E le lotte delle sigaraie e delle tabacchine testimoniano, ancora oggi, che la direzione dell’emancipazione, anche quella della donna, non è ancora giunta al traguardo definitivo, nonostante i tanti sforzi e passi compiuti in siffatto senso , nel corso degli anni.
* Pierpaola Meledandri è avvocato patrocinante in Cassazione, civilista e amministrativista, con varie specializzazioni maturate. Si è occupata di docenza per Sindacati, Ordini e Categorie professionali. Giornalista pubblicista dal 10 gennaio 2022, ha redatto numerosi articoli, nel corso degli anni, su riviste e periodici su svariate tematiche, nonché ha collaborato in collettanea per la stesura di testi.