Oggi, 8 marzo, come tutti sappiamo, è la giornata internazionale dei diritti della donna e sebbene i traguardi raggiunti nell’accidentato percorso per il raggiungimento della parità di genere siano molti, altrettanti ancora sono di là da venire.Basta osservare alcuni dati: una donna su due non lavora, su dieci dirigenti solo una è donna, le donne guadagnano in media un quinto in meno rispetto agli uomini, il 70% di chi ha perso il lavoro nel 2020 è donna.
Ebbene sì, in Italia durante l’emergenza Covid si è registrato un calo dell’occupazione femminile impressionante (-4,1%), addirittura doppio rispetto alla media europea (-2,1%). Parliamo di numeri elevatissimi: più di 400 mila posti di lavoro persi solo tra aprile e settembre 2020. È quanto emerge da uno studio portato a termine dai Consulenti del lavoro che ricordano inoltre che “nel 2020 l’Italia avrebbe dovuto raggiungere i target previsti dalla Strategia Europa 2020 con l’innalzamento del tasso di occupazione al 67%”.
Questi numeri sono spaventosi non solo se considerati in termini assoluti, ma ancor di più se analizzati in relazione all’analoga contrazione del tasso occupazionale maschile: quella delle donne è una contrazione doppia rispetto a quella maschile, cosa che non è avvenuta in nessun Paese europeo. Sicuramente ciò è dovuto anche al fatto che la maggior parte delle lavoratrici siano impegnate nel terzo settore e, in particolare, nella filiera del Terziario (con tutto ciò che concerne la parte ristorativa e commerciale), che è stata senz’altro la più colpita in assoluto e che è quella a maggiore densità micro-imprenditoriale femminile.
Vicino a questi dati non proprio incoraggianti, c’è però un aspetto che non va sottovalutato: la resilienza delle donne. Sulle emittenti televisive, sui quotidiani, sul web e sui social si sente parlare sempre più spesso di resilienza, ossia (in ambito aziendale e lavorativo) quella capacità di affrontare in maniera costruttiva i cambiamenti che possono sopraggiungere repentinamente, sopravvivendo alle criticità, riplasmandosi e riuscendo a trarre dalle difficoltà nuovi modi di organizzare il proprio business. La resilienza è la caratteristica che ha la gomma, l’elastico, ovvero la capacità di assorbire urti senza rompersi.
In questo le donne, imprenditrici e non, sono incredibilmente capaci e caparbie, dimostrandosi sempre pronte a reinventarsi. A fronte del loro più frequente confinamento a casa rispetto agli uomini a cui viene concesso il telelavoro con più difficoltà, a fronte del loro sempre maggiore carico di lavoro non retribuito e di cura (pochissimo è cambiato infatti nella divisione dei compiti familiari e, nonostante il lockdown, è spettato sempre alle donne il maggior carico di lavoro casalingo e familiare), a fronte della perdita del lavoro, le donne sono state capaci di trovare strade alternative: tantissimi i gruppi social, da quelli tutti al femminile a quelli di quartiere, che si riempiono di proposte, richieste di lavoro, offerte di beni e servizi artigianali.
Guardando con interesse all’E-commerce, uno tra i pochissimi settori che hanno registrato una crescita nel 2020, le donne si sono lanciate nel commercio online, dando respiro alle loro passioni più profonde, dando voce alla propria creatività e molto spesso reinventandosi come artigiane o offrendo, contro ogni pregiudizio di genere, i propri servizi come idrauliche, falegname e restauratrici, dimostrando l’infondatezza dell’esistenza di lavori da uomo o da donna.
C’è chi, come la romana trentasettenne Alice Bernacca, dopo la chiusura della piscina in cui faceva l’istruttrice di nuoto decide di cucire e produrre tende per bambini (con grande successo) o chi, come la trentacinquenne Cecilia Nocera, dal mondo della moda, rendendosi conto dello sviluppo della compravendita online ha trovato il coraggio di sviluppare il proprio sogno e dal nulla ha messo su proficuamente una piccola impresa alimentare domestica di prodotti vegetariani e alimenti bio.
Oppure la professoressa di inglese Norma Cerletti che, approdando sul web con i suoi mini corsi di inglese (prima su Tik Tok e poi su Instagram) è riuscita a costruirsi una fan base di più di 540 mila follower e ha potuto iniziare a vendere anche i suoi corsi di pronuncia, diventando una vera icona dell’uso intelligente e interattivo dei social con i suoi programmi giornalieri.
Le donne che sanno reinventarsi, che non “si piegano” alla crisi e alla pandemia sicuramente non rimangono a piedi. L’empowerment o rafforzamento delle capacità e competenze della persona, e la capacità sociale di acquisire “potere” attraverso la partecipazione alla vita della comunità rappresentano inoltre le armi migliori per combattere forme di violenza rispetto alle quali molte donne sono sottoposte.
La pandemia ha esacerbato molte situazioni di violenza domestica e solo una donna consapevole delle proprie capacità professionali e sociali può riscattarsi e trovare la forza di uscire da qualsiasi tipo di vessazione. E’ quindi un processo multidimensionale dell’archetipo femminile che necessita di tempi rapidi, per una società più giusta, equa ed inclusiva.
In questo processo multidimensionale, l’associazionismo femminile rappresenta una chiave determinante. Come Presidente di Terziario Donna Confcommercio Roma lavoreremo ad un evento “Donne insieme per Roma”. Il gruppo delle donne imprenditrici romane, con tutta la sua energia, si mette a servizio della città per la sua rinascita. In una città come Roma, dispersiva e disorganica l’associazionismo rappresenta una grande sfida ma anche una grande opportunità.
In Italia la spinta propulsiva all’associazionismo femminile avvenne all’indomani dell’Unità. Si trattava per lo più di movimenti informali, nati nei luoghi femminili tipici: il forno per il pane, il lavatoio, il salotto di casa,e così via. Le donne hanno dovuto associarsi per fare lotta comune perché prima della costituzione delle associazioni era la personalità carismatica della singola donna illustre ad avere seguito. Più tardi l’associazionismo femminile assunse una maggiore struttura, ma era lo stato sociale da costruire: urgeva il cambiamento della condizione della donna all’interno della famiglia.
C’erano poi i diritti civili che attendevano di essere riconosciuti, come quello all’istruzione e alle libere professioni, il diritto politico di voto.
Le associazioni femminili passarono così da una gestione filantropica al disegno assai più ambizioso e lungimirante del raggiungimento dei diritti civili e politici. Un passo gigante ma che non ha raggiunto ancora il traguardo.
Simona Petrozzi, Presidente Terziario Donna Confcommercio Roma