Insieme al profumo di mimosa, ogni anno nell’etere si diffondono messaggi, slogan, appelli affinché si ricordino le differenze, le faticose conquiste sociali, economiche e politiche, le discriminazioni, le violenze, i femminicidi di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in ogni parte del mondo.
Ogni anno, cioè, si volge lo sguardo solo per “ricordare” a ciò che è stato: alle statistiche, che dimostrano percentuali “basse ma in crescita e comunque sempre troppo poche” di donne ai vertici delle istituzioni, degli organismi, dell’imprenditoria “quella che conta”, con sperticate dichiarazioni d’intenti su quale futuro diverso attende l’universo femminile.
Appunto, nel futuro. E giù a snocciolare statistiche: le donne sono più degli uomini a laurearsi o ad eccellere; c’è stato il sorpasso delle donne in magistratura, in avvocatura, nella pubblica amministrazione. E ancora quante donne sono state ammazzate l’anno prima. Quest’anno ci sarà la retorica sull’occasione persa per eleggere la prima donna presidente della Repubblica.
Tutte chiacchiere. Fuffa, si dice in gergo. Proviamo a guardare da un’altra prospettiva la condizione odierna delle donne? Primo punto. Di grazia, chi dovrebbe aiutarci a colmare il gender gap se non noi stesse? Anzi: noi stesse in squadra. Ed ecco il secondo punto. Le donne non fanno squadra. Fanno gruppo, ed è già tanto, ma non fanno squadra. Sono termini simili ma profondamente e culturalmente differenti.
La squadra ha il capo, la squadra trae forza dall’insieme di tante forze, la squadra è un insieme di persone che svolgono azioni per raggiungere insieme il medesimo scopo, la squadra lotta per quello scopo, all’unisono, compatta. E anche quando non lo è, il singolo aspetta tempi migliori e ingoia il rospo. La squadra se è compatta è imbattibile.
Il gruppo è un’altra cosa. E’ un insieme di persone accomunate da funzioni, ambienti, sentimenti (ahi ahi…), ma che svolgono le loro azioni in maniera per lo più individuale, senza influenzarsi in maniera reciproca. Il gruppo della palestra, il gruppo delle mamme, il gruppo delle amiche del venerdì sera. Dove vuoi andare col gruppo? Al massimo a cena.
Nella squadra spicca il leader e, nella squadra, viene riconosciuto perché prevale per competenza, conoscenza, appartenenza. Non perché più bello o meno bello, perché più elegante o meno elegante, perché grasso o magro. L’assenza di cellulite nella squadra è determinante.
Non è così nel gruppo, dove emozioni e sentimenti volteggiano liberamente, così che spesso domina la gelosia, talvolta l’invidia, spesso l’esteriorità. Ma soprattutto il gruppo non è luogo dove si fa blocco, fronte comune. Qui sta la differenza fondamentale. Non c’è il concetto del branco e la forza che promana, il valore aggiunto di qualsiasi organizzazione, e le poche donne che raggiungono posizioni verticistiche le difendono come la leonessa fa coi cuccioli. Istinto non ragione.
La verità è che, al di là dei proclami, degli slogan e dello sbandieramento di solidarietà (solo) l’8 marzo, nella realtà le donne sono il più delle volte leader solo nel criticare le altre donne. Diciamocelo. Perché solo con un po’ di autocritica e sano realismo abbiamo la possibilità di vedere più nitidamente e più lontano del tailleur della nostra amica del gruppo. Siamo in numero maggiore, capacità, tenacia, intelligenza, professionalità non ci mancano. Usiamole! Uniamoci sotto una sola bandiera: squadra.
Non dobbiamo mirare a che il mondo sia come una moneta: un lato è maschile e se la giri diventa femminile. La vera conquista non è far contare il genere, ma la capacità; non il tailleur, ma la professionalità; dove il taglio di capelli è recessivo alla tenacia e il rossetto serve per scrivere sulla blackboard planning.
Ma non ci si deve illudere: tutto questo non ce lo regalerà nessuno. E di certo non è sufficiente un giorno all’anno.
Buon 8 marzo, squadra.
P.S. A voler essere pignoli tutti i sostantivi elencati sono femminili (o, al massimo aggettivizzandoli, sono neutri).