Il Centrodestra riparte da Arcore, Centrosinistra con il volto governativo, M5S coi soliti problemi. Il caso Maroni
di LabParlamento
Feste natalizie alle spalle, ci si tuffa nell’immediata vigilia dello scontro elettorale: la messa a punto delle coalizioni (laddove possibile), la scelta dei candidati e la scrittura dei programmi e delle iniziative a supporto.
L’Epifania ha segnato la ripartenza ufficiale del Centrodestra, ancora e sempre da Arcore. Con Silvio Berlusconi, in oltre quattro ore di riunione, Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno trovato un accordo sulle priorità del programma, in attesa di discutere dei collegi: flat tax, meno vincoli europei, controllo dell’immigrazione e cancellazione della legge Fornero sulle pensioni, piano sulla natalità. E hanno dato il via libera alla quarta gamba della coalizione, pur vincolando le candidature a nomi graditi a tutti e tre i leader. Ma non è passato inosservata la mossa elettorale notturna del Cavaliere con il lancio del simbolo e quel “Berlusconi Presidente” che, a dispetto dell’ineleggibilità, la dice tutta del disegno di volersi confermare unico punto di riferimento della coalizione. Adesso e soprattutto dopo quando, se avrà “staccato” in voti la Lega di quanto basta, si riapriranno i giochi sia nel caso di una mancata maggioranza sia in quello di una vittoria che richieda l’ufficializzazione di una linea politica “moderata”, nel segno del Ppe come l’ex Premier forzista continua a ripetere ai più stretti collaboratori.
In realtà, tutto o quasi previsto, almeno per ora in attesa, appunto, del confronto sulle liste dei candidati che potrebbe riservare ancora qualche sorpresa. Inatteso invece che sul tavolo di Arcore si aprisse il caso di Roberto Maroni, pronto ad annunciare la rinuncia alla ricandidatura come presidente della Regione Lombardia, per “motivi personali”. Motivi non spiegati finora, anche se erano circolate ipotesi su un suo futuro ruolo a Roma, magari premier di mediazione in un governo di centrodestra. Voci che non sono piaciute a Salvini, che si considera l’unico leghista in corsa per Palazzo Chigi. Il governatore chiarirà presto se intende tornare a Roma (finora lo ha sempre escluso) o fare addirittura una scelta di vita diversa. Magari per tenersi libere le mani in un secondo momento. Intanto ci si prepara a un’alternativa per il 4 marzo, visto che finora la Lombardia era l’ultimo dei problemi: la Lega punta sull’ex sindaco di Varese, Attilio Fontana, dato per favorito. Mentre in Forza Italia si è fatto il nome (solo di bandiera) dell’ex ministro Mariastella Gelmini. In ogni caso, una novità, quella della rinuncia di Maroni, che apre a qualche insperata possibilità aggiuntiva per il Centrosinistra e la corsa di Giorgio Gori. E mette in difficoltà Liberi e Uguali il cui “no” all’appoggio della candidatura, adesso, avrebbe ancor minor senso di prima.
In casa del PD e dintorni, l’apparizione di Paolo Gentiloni a Che tempo che fa mostra, almeno per ora, l’intento di utilizzare l’immagine governativa rassicurante dell’attuale Premier (non dimissionario) per una campagna elettorale centrata sull’affidabilità di personaggi e temi contro quello che proprio Gentiloni ha definito, con buona scelta comunicativa, il “Rischiatutto” degli altri due maggiori schieramenti. Bisognerà capire tuttavia come si troverà il giusto equilibrio tra questa immagine e quella più all’attacco incarnata da Renzi e dai renziani doc. E qui sta forse la scelta più difficile. Mentre la tormentata messa a punto definitiva della coalizione all’indomani del “problema radicali” (risolto con il soccorso democristiano di Tabacci) e della riformulazione del simbolo dei Civici popolari della Lorenzin (domani la presentazione), non sembra preoccupare più di tanto il Nazareno. Probabilmente in virtù di sondaggi che sembrano non premiare più di tanto tra la decisione di una gara solitaria e in compagnia, in questo caso riducendo però i seggi sicuri da mettere in condivisione. Ora, piuttosto, conta molto vedere i temi su cui si concentrerà la campagna elettorale: Europa, lavoro, cultura dice, giusto oggi, Matteo Renzi in una intervista a tutto tondo sulla partita che si va a giocare. Ma è facile pensare che la declinazione di queste tematiche e la risposta alle decisioni dei contendenti e ai fatti offerti dall’attualità, diventeranno presto terreno di confronto assai acceso senza esclusione di colpi.
Quanto ai Cinque Stelle, il movimento – che pure resta tuttora favorito nella gara per il partito (non la coalizione) con più voti in un’ottica di primo incarico da parte del Capo dello Stato – sembra restare tuttora preda degli storici (e irrisolti) problemi rappresentati dalla scelta della candidature e dalla “necessità” di confermare la scelta solitaria per il Governo del Paese senza la quale, probabilmente, perderebbe buona parte degli attuali consensi. Non avendo alcuna possibilità di successo la proposta di alleanza “con chi starà al nostro programma e accetterà la nostra squadra” più volte ripetuta dal premier in pectore, Luigi Di Maio. Tuttavia, va registrato il crescente attivismo per accreditarsi istituzionalmente, destinato a rafforzarsi nelle prossime settimane proprio per rafforzare il significato della corsa autonoma. Un quadro, quello del M5S, che resta comunque contrastato per via dei malumori sorti con le nuove regole sulle candidature e della conferma del ruolo di “capo politico” per Di Maio che non troppo di recente aveva già provocato pericolose fronde interne. Il tutto con il “caso Roma” sempre potenziale effetto negativo da maneggiare con estrema cura.