Ma sul resto ancora scontri, mentre il Pd fibrilla per le candidature, i 5 Stelle pensano al post-voto e Salvini scopre la fronda interna
Finalmente è ufficiale: il candidato del centrodestra per la Regione Lazio sarà Stefano Parisi, leader di Energie per l’Italia. A dichiararlo una nota congiunta di Berlusconi, Salvini e Meloni. Una scelta che può sorprendere chi associa Parisi a Milano e al fallimento della sua candidatura, ma a difenderlo dalle accuse di “incoerenza” ci pensa Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia: “Parisi è romano e conosce Roma, per me è più naturale si candidi a fare il governatore del Lazio che il sindaco di Milano”.
A stupirsi però è stato lo stesso Parisi, visto che solo pochi giorni fa gli era stato negato di entrare a far parte della coalizione di centrodestra (e tra Meloni, Salvini e Berlusconi era stato proprio il Cav a porre un implicito veto). Nel suo annuncio su Facebook spiega come quello di “Energie per l’Italia” sia un progetto di lungo periodo e che, per quanto difficile, la decisione di accettare la candidatura è stata dettata dal bisogno di consolidare il neonato partito sul territorio: “La scelta di oggi ci farà essere grandi e forti domani!”. In realtà, una scelta che, adesso, probabilmente gli consentirà di avere più voce in capitolo nella ripartizione dei seggi alle nazionali.
Fresco di oggi è anche l’endorsement – abbastanza prevedibile – di Silvio Berlusconi in favore di Antonio Tajani, presidente del Parlamento UE. “Se fosse possibile avere Tajani premier sarebbe una bellissima scelta”. Aggiungendo poi che il centrodestra non avrà bisogno di altri numeri perché è sicuro di poter portare la coalizione al 45%. Chi però non è d’accordo con il Cavaliere è Giorgia Meloni, che ribatte “Tajani sarà il candidato di FI, non è il candidato di FdI. Sto facendo la campagna per poter arrivare io a fare il presidente del Consiglio dei Ministri. Gli Italiani sceglieranno la proposta che li convince di più”. Insomma, il centrodestra, a dispetto di essere la coalizione più strutturata, ampia e potenzialmente vincente, vive ormai quotidianamente di evidenti spaccature.
Ma se c’è chi sta ancora scalpitando sulle candidature, come il Partito Democratico per via dei malumori sul territorio alle scelte calate dall’alto e anche per lo scontro tra Renzi e Orlando per l’assegnazione dei seggi (domani alle 10.30 una Direzione decisiva), il Movimento 5 Stelle sembra essere già oltre.
Luigi Di Maio, leader dei pentastellati, sta infatti già ragionando sugli scenari post-voto, insistendo sul fatto che, se l’M5S non otterrà i numeri per formare un Governo da solo, il risultato non sarà, eventualmente, una coalizione retta da un’intesa per spartirsi le poltrone ma un impegno serio a trovare delle convergenze sui temi. Lanciando, in caso contrario, un chiaro monito: “Innanzitutto ci devono dire perché non sono d’accordo sui nostri 20 punti”.
Matteo Salvini intanto ha un problema: continua a rimandare la decisione sulla candidatura di Bossi, quando anche Silvio Berlusconi, nel corso dell’ultimo incontro, ha speso parole a favore dell’amico storico (o forse proprio per questo?): “Mi raccomando su Umberto…”, avrebbe sussurrato il Cavaliere. Nei fatti, Salvini si trova a dover gestire una Lega all’interno della quale le minoranze (leggi maroniani) iniziano a farsi sentire. E non è detto finisca qui.