Il coro per nuove elezioni se il 4 marzo non ci saranno vincitori lede il ruolo di Mattarella e riversa sui cittadini un compito che spetta ai partiti
Si sono moltiplicate, negli ultimi giorni, le prese di posizione dei leader di partito sugli scenari post elezioni. Più precisamente, da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi, passando per Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Pietro Grasso (sebbene M5S e LeU abbiano aperto a collaborazioni su singoli temi), sta diventando unanime il coro in favore di un ritorno in tempi rapidi al voto, qualora nessuno schieramento conquisti la maggioranza nelle Camere.
La convergenza (almeno in apparenza) dei candidati premier sul rifiuto di ogni ipotesi di “grande coalizione” sottintende alcune dinamiche non proprio lusinghiere per la politica italiana. In primo luogo, l’importanza che sta avendo il tema del “no all’inciucio” nell’attuale campagna elettorale (Fratelli d’Italia ha organizzato per il 18 febbraio una manifestazione ad hoc) rivela che gli stessi concorrenti per Palazzo Chigi sono consapevoli che, al netto di eventi imprevedibili, il “Rosatellum Bis” non produrrà un vincitore chiaro. Un “segreto” noto a qualsiasi osservatore da molte settimane, poiché il meccanismo 1/3 collegi-2/3 proporzionale per l’assegnazione dei seggi fa sì che per conquistarne 317 su 630 a Montecitorio (soglia di mera sopravvivenza) sia necessario ottenere il 40% dei voti su scala nazionale e prevalere in circa il 70% delle competizioni uninominali. Numeri, secondo tutti i sondaggi lontani dalla portata di centrosinistra e Movimento 5 Stelle e al di sopra delle percentuali attribuite al centrodestra, favorito secondo gli istituti demoscopici.
Più di ogni altra cosa, tuttavia, le dichiarazioni di indisponibilità a qualunque accordo con le altre forze politiche rappresentano una pressione indebita sul Presidente della Repubblica, che a partire dalla sera del 4 marzo ricoprirà un ruolo tanto centrale quanto, in questa circostanza, gravoso. In base alla Costituzione, sarà infatti il Capo dello Stato il dominus della fase che si aprirà alla chiusura de i seggi elettorali; pertanto, soltanto a Sergio Mattarella spetterà valutare, al termine delle consultazioni dei nuovi Gruppi parlamentari, se sarà possibile formare un Esecutivo in grado di ottenere la fiducia di Camera e Senato e, di conseguenza, decidere a chi affidare la guida del Paese. Dunque, ogni annuncio effettuato a priori dai vari leader è a tutti gli effetti un’intromissione nelle competenze del Quirinale, effettuata senza neanche curarsi di menzionare l’inquilino del Colle.
Da ultimo, la corsa ad assicurare “nuove elezioni se non ci saranno i numeri” riversa in anticipo sui cittadini un compito che spetta invece ai partiti, in quanto portatori del consenso popolare nelle Istituzioni. Qualora le urne non dovessero premiare nessuno dei contendenti, dovrebbero essere i rappresentanti del popolo votante a trovare nell’interesse generale una soluzione che garantisca la governabilità del sistema. Delegare fin da ora agli elettori il superamento di un’eventuale situazione di stallo significa nei fatti minare gli istituti della democrazia rappresentativa, nonché fornire un assist perfetto a quanti diffidano della politica perché incapace di prendere decisioni. In altri termini, se nei prossimi 25 giorni i concorrenti alle Politiche non si riveleranno in grado di andare oltre promesse e accuse di “intelligenza con il nemico” non ci sarà da sorprendersi se l’affluenza al voto il 4 marzo toccherà il minimo storico.