Scatta nel 2021 la semplificazione del regime fiscale per il commercio digitale. Un aiuto in più per il settore che, nel frattempo, cerca accordi con il fisco
La data è il 1° gennaio 2021. Solo da quel momento gli operatori dell’e-commerce potranno finalmente dire addio ad un articolato meccanismo di calcolo delle imposte che, ad oggi, drena soltanto energia ed attenzioni agli operatori del settore.
Attraverso una semplificazione radicale del calcolo dell’IVA, infatti, l’Unione europea vuol contribuire a dare una spinta in più al commercio elettronico, che già ad oggi conta su un giro di affari di più di 600 miliardi di euro, cifra destinata a crescere in modo esponenziale nei prossimi anni.
Attualmente, l’IVA sulle vendite extra-nazionali viene versata nello stato di partenza della merce, sino però al raggiungimento di una determinata soglia di fatturato, superata la quale, l’intero tributo viene versato nello stato di destinazione dei prodotti. Il venditore, dunque, deve tenere nota di quanto fatturato in ogni singolo stato dell’UE, e calcolare, di volta in volta, il superamento o meno della soglia prevista da ciascuno stato (asticella che varia da 35.000 a 100.000 euro) per sapere con esattezza a chi (e quanto) versare l’imposta.
Molti commercianti vivono il superamento della soglia di fatturato come un vero e proprio dramma: infatti, versare l’IVA nello stato di destinazione comporta necessariamente il mettersi in regola con ciascuna legislazione fiscale propria del luogo, ivi compresa l’apertura di una partita IVA e la successiva certificazione della contribuzione all’erario estero. 28 trattamenti fiscali diversi che però, fra tre anni, saranno un lontano ricordo.
Grazie al regime di semplificazione appena introdotto, ai venditori e-commerce si applicherà sempre (e soltanto) l’IVA dello stato di destinazione, cancellando le soglie e mettendo in condizioni i commercianti di versare l’imposta per mezzo di un sistema informatico unico a livello europeo.
Avanti, dunque, con la tassazione dell’economia digitale, seppur semplificata. Forse tale misura potrà contribuire ad avvicinare molti commercianti al world wide web, anche se però il nostro Paese risulta ancora al 23° posto sui 28 Paesi membri dell’UE per numero di transazioni online, davanti soltanto a Croazia, Cipro, Bulgaria e Romania.
Dove l’Italia sale sul podio sotto il cielo d’Europa, invece, è in tema di fiscalità e lotta all’evasione digitale. È di appena un mese fa la chiusura dell’accordo tra Amazon e Agenzia delle Entrate, relativo alla regolarizzazione dei tributi non pagati dal colosso di Seattle per il periodo 2011-2015, pari a poco più di 100 milioni di euro. Ma il grande risultato portato a casa da Agenzia, Guardia di Fiannza e procura di Milano (che, su tale questione, aveva acceso un faro) è stato quello di far digerire al colosso di Jeff Bezos la qualificazione di «stabile organizzazione» sul nostro territorio nazionale, così da essere assoggettato alle regole fiscali del Belpaese anche per il futuro.
Tale intervento segue a poca distanza altri due – storici – accordi conclusi con Google e Apple che, pur di chiudere i conti con il fisco italiano, hanno versato, rispettivamente, 306 e 318 milioni di euro. Bricioline, forse, rispetto a quanto contestato, ma pur sempre qualcosa in tempi di scarse risorse, non solo digitali.