Nell’ultimo giorno dei sondaggi (che per ora non certificano maggioranze), chi da una parte chi dall’altra ci si sfila con forza da accordi post-voto. Solo Gentiloni elogia … la Grosse Koalition
di LabParlamento
Centrodestra avanti ma al traguardo della vittoria ci sono di mezzo circa 65 collegi uninominali, sommando quelli di Camera e Senato, in cui si vince e si perde per un pugno di voti. E sono tutti al Centro e al Sud. Per il resto: Pd sempre in affanno (con la spina nel fianco Bonino) e M5S stabili, impermeabili alle turbolenze. Nell’ultimo giorno dei sondaggi, una sola certezza: per ora non c’è una maggioranza sicura, tanto che a Berlusconi stanno consigliando caldamente di chiudere la campagna elettorale a Napoli per tirare la volata forse decisiva.
Sarà anche per questo congelamento di fatto che il “dopo”, segnatamente nel senso delle larghe intese, viene scansato ormai da tutti quasi con forza. Come fosse una brutta parola. Ne sa qualcosa il ministro dell’Interno, Marco Minniti, che sulla comoda poltrona di Bruno Vespa, ieri sera, si era detto favorevole ad un “governo di unità nazionale”. Apriti cielo: Matteo Renzi che fino a qualche ora prima aveva allontanato qualsiasi ipotesi di “larghe intese”, avrebbe preteso una precisazione. In realtà, Minniti ha chiarito subito che “unità nazionale” e “larghe intese” sono due cose ben diverse e che quindi, lui, non aveva rotto alcuna consegna. Incomprensioni dettate dall’agitazione della fase politica, che però hanno contagiato altri nel Pd, come il ministro della Giustizia (Orlando: “La strada di un governo di unità nazionale è impercorribile. Ripercorrere la strada delle larghe intese sarebbe un errore. Dobbiamo dire con chiarezza che siamo alternativi alla destra”).
Il tema, peraltro, non scalda più di tanto nemmeno Silvio Berlusconi. Larghe intese impossibili, sottolinea in buona sostanza, perché il “Pd è in caduta libera” e dunque, semplicemente, non ci sarebbero i numeri. Quanto a Matteo Salvini, si sa da tempo come la pensa su accordi di questo tipo. Lui e Giorgia Meloni (che però sul tema, non ricambiata, organizza la manifestazione “anti-inciucio” di domenica prossima) sono impegnati da tempo ad ottenere dalle urne quei voti, sufficienti, per contrastare qualsiasi retro pensiero del Cav.
Alla fine, ma nella maniera più asettica come suggerisce la sua veste istituzionale, un accenno arriva da Paolo Gentiloni. “Per il mio Paese l’accordo di coalizione che si è realizzato in Germania è una cosa buona e giusta, che aiuta il progetto europeo e quindi penso che la decisione dei vertici dell’Spd di sottoscriverlo vada in una direzione importante per l’Europa e per l’Italia” ha scandito il premier, a Berlino, ad una pensierosa Angela Merkel. Per quanto riguarda l’Italia, “avrà un Governo e penso che avrà un governo stabile” ha assicurato, gettando il cuore oltre l’ostacolo, convinto che sia non ci sia “nessun rischio che l’Italia abbia un esecutivo su posizioni populiste e antieuropee”.
Flash dalla campagna elettorale. “Chi ha mentito a me e agli elettori non la passerà liscia”. Così il candidato premier M5s Luigi Di Maio in un video su Fb dove tuttavia aggiunge non senza un sospiro di sollievo: “Come si vede dai sondaggi, non solo non ci stanno facendo male ma stiamo crescendo. Renzi perde e noi guadagniamo”. Anche se lo smottamento degli “indagati” interni (con sponde nell’Europarlamento) prosegue e lascia intravedere un pericoloso ingrossarsi del gruppo misto quando ci si andrà a contare, anche per un pugno di voti, nel nuovo Parlamento.
“Mancano 15 giorni, metteteci il cuore. Oggi da Bari parte l’operazione primo posto”, ha affermato il segretario del Pd, Matteo Renzi, incontrando a Bari i candidati pugliesi, i dirigenti ed i sostenitori del partito. “Questa partita non dipende da me, ma da noi – ha detto – L’alternativa è di gente che non sa controllare gli scontrini e come fa – ha chiesto al pubblico – a controllare il proprio Paese? L’alternativa è di gente che urla contro gli immigrati, contro i robot, contro gli altri ma poi alla fine dimostra con chiarezza che ha una visione di Paese chiuso”. “Se ce la mettiamo tutta, il Pd al primo posto – ha concluso – darà una mano ai nostri figli, darà una mano all’Italia”.
“Mai più secessione, specie nel 2018”, ha dichiarato il segretario della Lega Matteo Salvini nel suo tour elettorale in Molise, tappa nel capoluogo. “Noi siamo autonomisti e federalisti – ha spiegato ai presenti – Nel mio giro vedo sempre piazze piene e sono convinto che anche al Sud ci saranno urne piene per la Lega. Prima di me la Lega guardava solo ad una parte del paese, ora abbiamo fatto scelte diverse. E se mi chiamano nel Sud, come qui a Campasso, abbiamo già vinto”. Avvalorando tuttavia la tesi di un crescente malumore da parte degli ortodossi e nostalgici del Carroccio la cui fronda, prima o poi, aspetta solo l’esito elettorale per rendersi palese.
Peraltro, restando a Salvini, non ci sarà il faccia a faccia con Matteo Renzi, martedì prossimo a Porta a Porta. L’aveva annunciato lo stesso segretario del Pd in tv due giorni fa. Ma il confronto – che sarebbe stato uno dei pochi di questa campagna elettorale – è sfumato perché, a quanto si è appreso dalla segreteria di Salvini, il leader leghista aveva altri impegni. Del resto, si sa da sempre che chi si ritiene in vantaggio (e il Centrodestra lo è) difficilmente accetta di misurarsi con chi rincorre…
Intanto, in vista delle elezioni emerge “un distacco evidente tra le attese degli italiani e i programmi politici” con tanti cittadini “ancora in dubbio se recarsi alle urne (27%)” e che “non si sentono rappresentati da nessun partito politico (20%)”, conclude il sondaggio ‘Il Manifesto degli Italiani” curato da Nomisma secondo cui le risposte fornite dai cittadini mostrano “un segnale di quanto poco oggi la classe politica riesca a farsi autenticamente interprete delle loro esigenze”. In particolare, resta centrale ma inevasa” l’attenzione ai temi dell’economia e del mercato del lavoro, con particolare riferimento a disoccupazione e precariato.
PS A Bologna, dove era previsto un comizio di Forza Nuova, sono andati in onda scontri violenti con i centri sociali. E’ l’altro, pericoloso, leit motiv di questa fase elettorale e, più in generale, di questo momento storico nazionale. Quello di una crescente tensione politica che si alimenta nel riemergere di rigurgiti neofascisti o peggio, segnali preoccupanti alla luce di una probabile difficoltà all’indomani del 4 marzo.