Paolo Manasse (Università di Bologna) delinea a LabParlamento le conseguenze di una proposta fatta propria da alcune forze politiche durante la campagna elettorale
di Valentina Magri
Sforare il rapporto deficit/Pil ci porterebbe a una situazione simile al 2011, con i mercati che richiederebbero tassi d’interesse molto alti per finanziare il debito pubblico italiano e l’incubo dello spread, ammonisce Paolo Manasse, professore di Macroeconomia e di Politica Economica Internazionale all’ Università di Bologna.
Qual è il suo commento sulla proposta del leader del M5s Luigi Di Maio (ma anche di altre forze politiche) riguardo lo sforamento del tetto del 3% per il rapporto deficit/Pil?
“La proposta di Luigi Di Maio è stato anche un cavallo di battaglia di Lega e Forza Italia ma è stata cavalcata da Renzi con le sue richieste di flessibilità all’Europa. Si pensa che le colpe della difficile situazione italiana siano dell’UE che impone dei vincoli assurdi e che basterebbe liberarsene per risolvere i nostri problemi. Si tratta di una strategia comune ai diversi partiti che tende ad incolpare della nostra recessione un nemico esterno. È una visione demagogica e assurda dal punto di vista economico. Il macigno del debito pubblico, che pesa sulle spalle e sulle tasche degli italiani, è stato creato dai governi nazionali a partire dagli anni Settanta e Ottanta, quando ancora non vigevano le regole Ue. La crescita così bassa e la recessione così lunga non hanno niente a che vedere con il rapporto deficit Pil, ma con scelte clientelari di politica economica disastrose a partire dagli anni Ottanta. Invece che riconoscere le inefficienze che hanno creato i nostri problemi (un mercato del lavoro ancora malfunzionante, una scarsa crescita, un basso livello
di concorrenza, una burocrazia che limita l’innovazione delle imprese, una spesa clientelare che ha generato molto debito, ci costringe a pagare tasse molto alte e disincentiva gli investimenti), si cerca un nemico esterno. Oltre a essere sbagliato, è la chiave delle proposte populiste che incolpano sempre gli altri dei nostri problemi”.
Quale sarebbe l’impatto sui conti pubblici?
“Un aumento del deficit superiore al 3% significa aumentare di più del 3% di anno in anno il rapporto debito/Pil, ossia indebitarsi maggiormente. Ciò richiederebbe nuovi tagli di spesa e aumenti delle imposte, come avvenne in Grecia”.
E, più in generale, le conseguenze per l’economia italiana?
“I giovani sarebbero più penalizzati perché dovrebbero sostenere un maggiore debito e quindi ancora più tasse future per ripagarlo. Una mancanza di disciplina fiscale da parte dell’Italia sarebbe sanzionata molto gravemente dai mercati e lo spread tornerebbe in auge. Ricordiamoci che con la crisi del 2011, quando l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fu costretto a chiamare come salvatore della patria Monti perché il governo Berlusconi in carica non era più in grado di governare, fummo sanzionati molto pesantemente dai mercati: i tassi d’interesse molto elevati da questi richiesti ci portarono sull’orlo della bancarotta, poi scongiurata grazie a una durissima riforma delle pensioni (la “ben conosciuta” riforma Fornero) che diede un segnale ai mercati e all’intervento del presidente della Bce Draghi che acquistò il debito di molti paesi europei, sollevandoli dal peso degli interessi. Ma è molto difficile che ciò si ripeta”.
E sui rapporti tra Roma e Bruxelles?
“L’Europa avvierebbe una procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia, che sarebbe seguita da multe fino a mezzo punto di Pil nel caso in cui non fossero presi provvedimenti dal nostro paese. Sarebbe un segnale chiaro che il nuovo governo non rispetta i vincoli europei, con conseguente sfiducia nelle sue capacità di ripagare il debito. Ciò avrebbe ripercussioni sul sistema finanziario italiano ed europeo. Le banche italiane detengono ad oggi oltre 1/3 del debito pubblico italiano. Un’eventuale svalutazione di esso intaccherebbe la solidità dei bilanci degli istituti bancari, che sarebbero costrette a ridurre il credito, mettendone in atto una forte stretta (credit crunch), con ritiro dei crediti alle imprese, che a sua volta avrebbe un impatto sull’occupazione degli italiani. Considerato poi che il sistema finanziario europeo è molto interconnesso, ci sarebbe una balcanizzazione del sistema finanziario, dove le banche europee non vorrebbero più prestare denaro a quelle italiane. Si rischia l’insolvenza del debito pubblico e delle banche italiane: sarebbe lo scenario peggiore, ma non così improbabile se fosse dato seguito all’annuncio di uno sforamento del 3% dato durante questa campagna elettorale. L’Italia finirebbe nelle mani della troika (Bce, Fmi e Commissione europea), perdendo la sua sovranità politica ed economica. È un film che abbiamo già visto per Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro. Speriamo di non rivederlo anche in Italia”.