Di Maio e Berlusconi provano a scegliere i nuovi governanti. E Napolitano appoggia Gentiloni
In attesa della chiamata alle urne ci si ricorda sempre più della promessa, avanzata qualche settimana fa, da Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle, di presentare agli elettori la squadra di governo prima del voto. E non è il solo, perché anche Silvio Berlusconi si è mosso su questa linea, anticipando che svelerà a breve il vero candidato premier di Forza Italia, non potendo lui andare a palazzo Chigi perché impedito dalla legge Severino.
Tuttavia, dato il carattere fortemente proporzionale della legge elettorale in vigore, il c.d. Rosatellum, che porta implicitamente a una competizione interna alle stesse coalizioni (ci riferiamo, in particolare, al centrodestra, ndr), fa sì che le candidature avanzate prima del voto (da chiunque), vadano annoverate anch’esse nella lunga lista di promesse di questa campagna prima del voto. Bisognerà attendere le percentuali ottenute dai partiti, per comprendere i conseguenti rapporti di forza che ne deriveranno ma, soprattutto, il verdetto del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla cui volontà tutti i leader si stanno rimettendo (specie quando in difficoltà sulle domande scomode dei giornalisti).
In linea con le dichiarazioni spot delle ultime settimane, Berlusconi ha mostrato un’apertura verso i futuri fuoriusciti dai 5 Stelle (leggi i candidati espulsi dal Movimento per appartenenza alla Massoneria o mancati rimborsi elettorali) che, da rito, non è stata accettata ad occhi chiusi da Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia): “Se c’è qualcuno che vuole votare i nostri provvedimenti perchè no”, ma “non starei adesso ad allargare la coalizione ai fuoriusciti del M5S” e aggiunge: “Un segnale di compattezza prima della fine della campagna elettorale sarebbe un atto di correttezza e serietà”, rilanciando per il primo di marzo una manifestazione unitaria del centrodestra, preferibilmente in una città del Centro-Sud.
Anche Salvini ha messo le mani avanti sulla questione M5S. “Mai larghe intese con i 5S. E’ un impegno che prendo io e che chiedo agli italiani” e tende la mano agli alleati di Fratelli d’Italia dicendo “Giovedì primo marzo ho prenotato il Teatro Brancaccio a Roma, lo faccio come Lega e lo apro molto volentieri a tutta la coalizione del centrodestra per fare squadra”. Entrambi ora aspettano che Berlusconi proceda al R.S.V.P.
Ma più la coalizione di centrodestra appare coesa, più il Partito Democratico perde pezzi. In Alto Adige, collegio dove è candidata la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, il Pd si spacca: 14 esponenti, espressione della minoranza, hanno annunciato la loro uscita dai dem. Sotto accusa la “candidatura imposta dall’alto” di Gianclaudio Bressa e Boschi: “È una questione di metodo. Sono venuti meno i principi del confronto e del cambiamento per i quali all’epoca ho aderito al Pd”. Sebbene, per altri, dietro la decisione ci sarebbero mancati pagamenti di quote al partito. Tra gli altoatesini l’unica nota di conforto viene dall’alpinista Reinhold Messner che scende in campo proprio per la sottosegretaria.
Chi tra i dem invece sembra collezionare sempre più endorsement è il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Alle parole di Romano Prodi si sono aggiunte quelle del Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano. “Gentiloni è divenuto punto essenziale di riferimento per il futuro prossimo e non solo nel breve periodo della governabilità e della stabilità politica dell’Italia”, ha detto in occasione della consegna al premier del premio Ispi in ricordo dell’ambasciatore Boris Biancheri.
Nel frattempo, il sottofondo della campagna elettorale si tinge di tinte sempre più torbide, tra l’imbrattamento della targa ad Aldo Moro a Roma, al pestaggio di un esponente di Forza Nuova a Palermo e quello di due militanti di Potere al Popolo a Perugia.