Rispetto al passato sono maggiori i vincoli legislativi per contrastare le “porte girevoli” della politica. Ma esistono le scappatoie
La fine di una legislatura rappresenta sempre un momento traumatico, specie per chi dopo lunghi anni in Parlamento si ritrova adesso fuori dagli emicicli di Camera o Senato. La politica però non è solo dibattiti, mozioni e proposte di legge, ma anche amministrazione e governo di società, pubbliche o private, purché partecipate.
Come già riportato da LabParlamento, da qui a fine anno saranno almeno 350 le nuove cariche disponibili all’interno del parastato imprenditoriale, occasione che fa gola ai molti esclusi ma anche a chi, dopo tanti anni di magra, si ritrova adesso nelle condizioni di poter indicare i futuri amministratori, come Lega, Forza Italia e da ultimo anche il Movimento 5 Stelle.
Si parte con Saipem dove ormai pare certo l’avvicendamento di Francesco Caio al ruolo di Presidente. Nel frattempo è in dirittura d’arrivo la scadenza, già prorogata, del Collegio dell’Autorità per l’Energia, partita che coinvolgerà direttamente tutti i partiti, chiamati a designare i cinque componenti a guida, probabilmente, Lega. Si proseguirà di gran lena, con il rinnovo di Cassa Depositi e Prestiti (la mancata riconferma dell’attuale AD Fabio Gallia è data ormai per certa), RAI, Sogei, GSE e, a fine anno, l’Antitrust, dove l’attuale presidente Pitruzzella lascerà il posto per uno scranno a Strasburgo in qualità di nuovo avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea. Per un’azione coordinata e strategica sulle future nomine, in casa centrodestra si sta approntando un’apposita cabina di regia, i cui componenti (Gianni Letta, Niccolò Ghedini per Forza Italia, Giulia Bongiorno e Giancarlo Giorgetti per la Lega), muniti di Cencelli alla mano, tenteranno di mettere d’accordo tutti e di non scontentare nessuno.
In questa tela di relazioni pare però che nessuno faccia i conti con gli stringenti vincoli posti dalla legislazione anticorruzione (L. 190/2012, c.d. Severino, dal nome dell’ex Guardasigilli che ha curato il testo). La stessa legge che ha impedito a Silvio Berlusconi di prendere parte alla corsa elettorale lo scorso 4 marzo riserva brutte sorprese anche per tutti coloro i quali vorranno provare a fare un triplo salto carpiato, dalle aule parlamentari direttamente in uno dei tanti Consigli di amministrazione di prossima nomina.
La legge anticorruzione detta infatti precise disposizioni in materia di pantouflage, quel “pantofolare”, appunto, da un ambiente politico ad un altro. La norma, su tale aspetto è chiara: coloro i quali – negli ultimi tre anni – hanno rivestito ruoli di potere autoritativo o negoziale per conto delle pubbliche amministrazioni, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto (c.d. “periodo di raffreddamento”), attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati che sono stati destinatari dei poteri a suo tempo svolti.
Accanto a questa prima preclusione, un altro ostacolo potrebbe frapporsi lungo il cammino dei novelli imprenditori di Stato: è quello previsto dal d.lgs. n. 39/2013 (anche questo di ispirazione Severino) che dispone casi di inconferibilità e incompatibilità di incarichi ai componenti di passati organi politici. Secondo tale disposto, in particolare, non possono essere nominati alla carica di amministratore con deleghe gestionali coloro i quali abbiano avuto negli ultimi due anni trascorsi con la politica.
Tuttavia, nelle pieghe della legge i più acuti osservatori hanno trovato il modo di riuscire ugualmente a nominare qualche fedelissimo, modificando gli Statuti delle società eliminando, almeno nella forma, ogni riferimento a “deleghe gestionali” in capo agli amministratori. Via libera, dunque, alla nomina, anche se formalmente priva di ogni potere gestorio. Non solo. Anche l’incarico di direttore generale, nel silenzio della legge, è pienamente ammesso, per cui disco verde a chi, per sfortuna o per demerito, non siede più a nei palazzi della politica romana.
L’elusione della legge non è certo passata inosservata all’Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone che, nel 2015 (e nuovamente a gennaio scorso), ha sollecitato il Parlamento a porre rimedio alla lacuna legislativa, chiedendo che fossero riviste le regole di inconferibilità, inserendo anche i potentissimi direttori generali (si pensi,ad esempio, alla RAI) e, soprattutto, via ogni riferimento alle deleghe gestionali agli amministratori: insomma, incompatibilità piena.
Se ti sei appena alzato da una poltrona non puoi immediatamente occuparne un’altra: è questo, in estrema sintesi, il pensiero dell’authority di Palazzo Sciarra,con la speranza, forse, di aprire la strada finalmente alle sole capacità professionali e meno alla fedeltà politica. Ma un ritornello ricorrente, sintetizzato dal prof. Michele Ainis, allontana la rivoluzione meritocratica, promessa costituzionale sin qui tradita nella prassi, dato che l’Italia non è mai riuscita a liberare “i talenti dai parenti”.