Rispetto alle elezioni del 2014 la ripresa, grazie alle politiche della BCE, è in atto e l’immigrazione irregolare, secondo l’Ocse, è sempre più sotto controllo. Cavalcare la politica economica europea e l’emergenza migratora per chi governa sarà un po’ più complesso…
di LabParlamento
Mai come ora l’Europa si era avvicinata al rinnovo delle proprie istituzioni con tanta debolezza e nel bel mezzo di un isolamento internazionale che, complici le ambizioni di Putin e le ormai frequenti bordate di Trump, la fanno apparire sempre più marginale nello scenario mondiale. Il progressivo disimpegno americano nelle aree critiche mediorientali, la sempre più forte leadership di Erdogan, ormai destinato a rimanere saldo ancora per anni ad Ankara e l’ormai esaurita spinta propulsiva dell’Isis (a proposito: perché non se ne parla più?) hanno sostanzialmente bloccato l’Europa e la propria area di influenza nel ristretto perimetro del Mediterraneo settentrionale. Basti osservare la dialettica sul dibattito internazionale per comprendere come oggi, a causa della sempre più forte crisi che connota sia le storiche famiglie politiche europee che i loro leader, l’Unione appaia fuori e dentro i propri confini come una piccola potenza decadente, litigiosa e divisa su ogni singola questione. È questo lo scenario nel quale tra il 23 e il 26 maggio prossimi uscirà il nuovo equilibrio della governarce europea.
Quelle del 2019 saranno le prime elezioni dopo l’attivazione della procedura d’uscita di un paese membro e soprattutto il primo appuntamento nell’era del sovranismo di governo, prima relegato a cospicua forza d’opposizione ma ora forte di numerosi successi elettorali che l’hanno spinto ben oltre la cortina di Visegrad. La politica economica comunitaria, ancora per poco protetta dall’ombrello del quantitative easing della Banca Centrale Europea di Mario Draghi non è riuscita ad attenuare la spinta delle forze politiche che ormai, più o meno apertamente, rivendicano un’Europa delle nazioni. E questo al di là della riduzione delle disuguaglianze e dell’evitato aumento del divario tra le famiglie più ricche e quelle povere dell’Eurozona, così come rivendicato da Francoforte.
Ma non è più, infatti, la politica monetaria dell’Unione ad essere messa nel banco degli imputati dai partiti che cavalcano il malcontento verso Bruxelles: la ripresa dell’Eurozona, nonostante le stime estive, al ribasso rispetto a quelle di primavera, che viaggia al 2 per cento, è dato innegabile anche dai più acerrimi nemici di Bruxelles. Gli stessi due paesi che, secondo le più recenti previsioni economiche, cresceranno di meno – Italia e Regno Unito – possono contare entrambe nel 2018, e per motivi evidentemente differenti, su un accettabile 1,3%. Assai di più cresce il prodotto interno lordo del gruppo di Visegrad (3% la Repubblica Ceca, 3,9% la Slovacchia, il 4% l’Ungheria e il 4,6% la Polonia) motivo per cui difficilmente si potrà cavalcare il malcontento facendo leva sulle ormai famigerate “tasche dei cittadini”.
Ecco allora come l’immigrazione diventi, invece, il perfetto trampolino di lancio per continuare a brandire la ormai renunerativa diffidenza verso l’Europa comunitaria. Ma fino a quando? Secondo i dati diffusi dall’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ogni mille abitanti, ben il 23,4 sono in Svezia, il 10,7 in Austria, l’8,1 in Germania. E l’Italia? Il nostro Paese è tra gli ultimi in classifica, con solo 2,4 rifugiati su 1000 (dati aggiornati al 2016). Circa l’immigrazione irregolare, complice una più complessa opera di monitoraggio – come ricorda l’Ocse – le stime oscillano: rimanendo all’Italia, il valore massimo della stima, secondo i dati diffusi dalla Fondazione Ismu raccolti da Infodata, raggiunge quota 491 mila su un totale di 60,6 milioni di abitanti censiti, una cifra pressoché in linea con la media europea. Stime molto simili l’Ocse le assegna la blocco di Visegrad. Un dato, significativo, va citato: se nel 2014 le immigrazioni irregolari “scoperte” dalle autorità ammontavano a circa 670.000 nel 2015 hanno raggiunto un la cifra di oltre 2 milioni, segno evidente che nell’ultimo decennio tutti i governi dell’Ue a 28 membri hanno messo in atto una stretta che oggi, approssimativamente, fa contare nell’Unione una stima massima di poco meno di 4 milioni di immigrati irregolari a fronte degli oltre 11 milioni contati degli Stati Uniti: insomma l’Europa non se la passa poi così male.
Starà ora ai cittadini comunitari, ma soprattutto alle forze politiche di governo, “vendere” tali numeri al proprio elettorato, per dimostrare come l’emergenza migratoria sia, almeno secondo le statistiche, sotto controllo. Per molti governi sovranisti, euroscettici o eurocritici, poi, queste elezioni rappresenteranno il primo vero “tagliando” dopo che, da sparuta minoranza, le forze politiche che li sostengono sono divenute maggioranza. Cavalcare l’onda della politica monetaria e dell’immigrazione, infatti, sarà nel 2019 molto più complesso.