Primo intervento sulla comunicazione istituzionale. Più trasparenza e comprensibilità, ma con tanti limiti da rispettare. Prevista formazione professionale specifica gestita dalla Scuola Superiore della magistratura, Ordine dei giornalisti, Consiglio Forense e Associazione nazionale magistrati
di Stefano Bruni
“Comunico ergo sum”, avrebbe probabilmente detto Cartesio vivendo in quest’epoca.
Già perché, come se ce ne fosse bisogno, pochi giorni fa è arrivata l’ennesima conferma della rilevanza e centralità che la “comunicazione” ha acquisito negli anni.
Questa volta poi si tratta di una conferma di “alto valore istituzionale” perché arriva da una delibera dell’11 luglio scorso del Consiglio superiore della Magistratura, l’organo di “autogoverno” dei magistrati italiani.
Linee-guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale è il titolo della delibera che può definirsi un primo “prontuario” per regolare e disciplinare i rapporti tra magistrati e mass media.
Perché questa iniziativa? Perché, si dice nella delibera, “la trasparenza e la comprensibilità dell’azione giudiziaria sono valori che discendono dal carattere democratico dell’ordinamento e sono correlati ai principi d’indipendenza e autonomia della magistratura nonché a una moderna concezione della responsabilità dei magistrati”.
Tradotto in termini cogenti, se i magistrati sono in grado di informare e comunicare in modo corretto “aumenta la fiducia dei cittadini nella giustizia e nello Stato di diritto, si rafforza l’indipendenza della magistratura e, più in generale, l’autorevolezza delle Istituzioni”.
L’iniziativa è certamente nuova e “sperimentale” tanto che è lo stesso CSM a precisare nella delibera che “si tratta di un primo intervento, preliminare all’adozione, a livello di normativa secondaria, delle modifiche ordinamentali necessarie per inserire anche la comunicazione nell’ambito delle disposizioni sull’organizzazione degli uffici giudiziari”.
Un iniziale passo compiuto però con tutte le attenzioni del caso tanto che per la redazione di queste linee guida è stato costituito un gruppo di lavoro, coordinato dal Primo Presidente Emerito della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio e composto da esperti in comunicazione, di varia formazione, come Francesco Giorgino, Fabrizio Feo, Giovanni Minoli, Gianrico Carofiglio, Stefano Rolando, Giovanni Melillo e Antonio Mura.
Il risultato è, per ora, una decina di pagine in cui sono stati individuati principi, diritti e doveri, procedure, contenuti, modalità e formazione specifica, tutti declinati per gli Uffici requirenti e per quelli giudicanti.
Entrando nel dettaglio delle linee guida è possibile infatti trovare indicazioni rispetto a chi comunica e quando, cosa si deve comunicare e cosa no, come comunicare.
Basta riportare alcuni esempi per capire quanto sia delicata questa “peculiare comunicazione”: “l’informazione non deve interferire con le investigazioni e con l’esercizio dell’azione penale, né con il segreto delle indagini e in generale con il principio di riservatezza; l’informazione non può danneggiare o influenzare la tutela dei diritti dei soggetti coinvolti nel procedimento o dei terzi”.
Di conseguenza, “…va evitata ogni ingiustificata comunicazione di dati sensibili e assicurata l’osservanza del divieto di diffusione di fotografie ed immagini di persone in manette e delle generalità dei minori così come va assicurato il rispetto della presunzione di non colpevolezza”.
Di tutto questo dovranno farsi carico i “capi ufficio”, magistrati cui sarà assicurata una formazione professionale specifica gestita dalla Scuola Superiore della magistratura in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti, il Consiglio Forense e l’Associazione nazionale magistrati.