LabParlamento a colloquio con Maddalena Cialdella, psicologa- psicoterapeuta familiare, mediatrice familiare e Consulente per i tribunali di Roma
di Alessandro Alongi
Si è svolta sabato scorso, in più di 50 piazze italiane, la manifestaztwione organizzata da partiti, sindacati, associazioni e semplici cittadini per chiedere il ritiro della proposta di legge sull’affido condiviso dei figli (c.d. Pillon, dal nome del senatore leghista primo firmatario del ddl). LabParlamento ha incontrato Maddalena Cialdella, psicologa- psicoterapeuta familiare, mediatrice familiare e Consulente per i tribunali di Roma, esperta di questi temi, per un punto di vista complessivo sulla proposta in discussione.
La proposta di legge c.d. “Pillon” ha riportato al centro del dibattito la separazione dei genitori. In che modo essa incide sui figli?
Fino a qualche tempo fa la separazione veniva considerata alla stregua di un evento paranormativo cioè un evento inaspettato che si abbatteva nella vita di una famiglia. Da anni ormai viene considerato un evento storico, ovvero qualcosa che bisogna mettere in conto sin dalla costituzione della coppia, vi è cioè la consapevolezza di un evento che può arrivare in un dato momento della vita. La separazione in sé certamente costituisce un momento difficile per ogni famiglia perché destabilizza; è un momento emotivamente stressante ma non necessariamente ha ripercussioni patogene sui figli. Ciò che rappresenta eventualmente un fattore di rischio che può esitare in sintomi vari e favorire traiettorie psicopatologiche, è l’elevata conflittualità che sempre più spesso accompagna le separazioni dei coniugi. E’ la conflittualità, la contesa e la strumentalizzazione dei figli, la denigrazione dell’altro genitore, a rappresentare un vero e proprio veleno che rischia di far ammalare incidendo sullo sviluppo psicofisico dei minori.
Qual è la sua opinione circa la proposta di legge sulla riforma dell’affido condiviso che sta tanto facendo discutere?
Quando si parla di minori e di diritto di famiglia bisogna essere molto cauti. La complessità della materia ci deve obbligare ad una riflessione che non può avere ragioni politiche, né rispondere a logiche di faziosità. Qui si tratta di tutelare le vite di persone fragili perché i minori non hanno voce in capitolo e quindi noi abbiamo la responsabilità di fare per loro scelte adeguate. Il ddl Pillon non mi convince da molti punti di vista.
Non mi convince l’indicazione della mediazione familiare obbligatoria: l’obbligatorietà non attiene alla ratio dell’istituto della mediazione familiare che si basa invece su una libera scelta autonoma e sganciata dai procedimenti giudiziari.
Tra l’altro l’obbligatorietà della mediazione familiare renderebbe il procedimento di separazione molto più lungo, complesso e costoso perché i mediatori dovranno essere pagati dalle parti, senza contare che durante lo svolgimento della mediazione familiare, da effettuarsi prima della udienza presidenziale, non potranno esserci neanche i provvedimenti provvisori e urgenti che intanto offrono la possibilità alle parti e ai minori di avere un dispositivo al qua attenersi.
Non mi convince l’indicazione dei tempi paritetici e del doppio domicilio: i tempi paritari e il doppio domicilio dei figli sono in contrasto con la tutela del minore e il diritto di conservare in suo favore il centro stabile degli interessi e della socialità; il riferimento al criterio “oggettivo”, e applicabile in ogni caso, dei 15 giorni di frequentazione, compreso il pernotto, porterebbe ad un pendolarismo dei minori e ad una reale difficoltà di gestione della vita del minore e dei genitori. Senza contare che la stabilità abitativa per un minore rappresenta da un punto di vista psicologico una unità spazio-temporale che fornisce loro il baricentro. Chi vive in una città come Roma sa bene che vivere ad esempio in quartieri diversi con distanze importanti non potrebbe rendere fattibile e applicabile questo principio: quale scuola dovrebbero frequentare i minori? Quale struttura per le attività sportive ed extrascolastiche? Per 15 giorni quelle vicino a casa di mamma e 15 giorni quelle vicine a casa di papà? E’ evidente che tutto questo andrebbe a detrimento dei minori
Non mi convince neanche l’indicazione del mantenimento in forma diretta: ciascun genitore in virtù dei tempi paritetici fornirebbe in modo diretto il proprio mantenimento. Questo renderebbe ancora più incerto l’esercizio della genitorialità da parte del genitore meno abbiente o del tutto privo di reddito (quasi sempre la madre) e creerebbe disparità tra le due figure genitoriali e una pericolosa scissione del minore nei periodi di permanenza presso l’uno o l’altro, con inevitabile ripercussione sulla qualità della relazione padre/figlio – madre/figlio. Si potrebbe arrivare al paradosso per cui con un genitore il minore godrebbe di agi e benefici mentre con l’altro ristrettezze ed esigue risorse.
Quali sono, se ritiene che li abbia, gli aspetti positivi di questa proposta?
Credo che al senatore Pillon si debba riconoscere il merito di aver smosso acque torbide. Penso che questo ddl nasca dalla necessità di contrastare una cultura “maternocentrica” data da una errata interpretazione e applicazione della legge 54/2006 sull’affido condiviso che, forse in modo quasi automatico, ha visto il collocamento prevalente dei minori presso la madre relegando in posizioni periferiche i padri interessati a rimanere fattivamente nella vita dei loro figli.
Il fatto è che non ci si può approcciare a un tema complesso come quello del diritto di famiglia che vede implicati i minori sui quali pendono decisioni importanti per la loro vita, proponendo un elenco di step procedurali come propone Pillon. Leggere realtà complesse traducendole in semplificazioni eccessive non può che essere grave e rischioso.
Per come è concepito il ddl Pillon pone di fatto i diritti dei minori in posizione periferica sbilanciandosi invece sul versante degli adulti che per mere ragioni egoistiche vorrebbero vedere i propri figli divisi in modo salomonico.
Tutto questo rischia di esacerbare una conflittualità già drammaticamente elevata i cui riverberi potrebbero divenire evidenti sulla pelle dei figli. Non è possibile prevedere un modello di frequentazione applicabile in tutti i casi, perché l’interesse del minore si realizza valutando la peculiarità della situazione.
Non mi convince il contrasto all’alienazione genitoriale: si propone un aumento delle sanzioni per quei genitori che ostacolano la frequentazione del figlio con l’altro genitore ma ben sappiamo che sanzionare maggiormente una ipotesi fattuale non produce la scomparsa del fenomeno. L’alienazione parentale (come oggi è definita dalla psicologia giuridica più attuale) o meglio il fenomeno del rifiuto è un fenomeno culturale che va combattuto, affrontato e risolto non solo con strumenti di natura prettamente processuale. E tuttavia qualora si volesse inasprire una pena ci deve essere un passaggio previo ineliminabile che è quello della valutazione della presenza del fenomeno che va accertato nelle sedi e con specialisti competenti non solo sulle dichiarazioni dell’uno o dell’altro genitore.