Salari medi sostanzialmente fermi da oltre dieci anni. Lavoratori sempre più anziani. Ripresa economica ed occupazionale solo nel Nord Italia. L’immigrazione spaventa le fasce deboli del Paese e in pochi credono in una futura integrazione. Società sempre più orientata alla “singletudine”.
di Stefano Bruni
Lavoro, crescita diseguale dei territori, sicurezza e relazioni. Ecco i quattro snodi da cui deve ripartire l’Italia secondo l’ultimo rapporto Censis presentato, come da tradizione, a Villa Lubin, sede del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel).
Il lavoro – ha detto il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii – in Italia ha perso terreno negli ultimi 40 anni e infatti il peso di questa componente sul prodotto è sceso dal 61,5% al 54% segnando un – 7,5%, segno dell’impatto della tecnologia sulla produttività e della ripresa della quota del Pil a favore del capitale. E questo è già uno spunto interessante da cui avviare una riflessione.
Ma a questo vanno aggiunti altri elementi per quanto riguarda il tema lavoro così come letto dal Centro Studi Investimenti Sociali.
Tra il 2000 e il 2017 il salario medio annuo di un lavoratore italiano è aumentato di 400 euro l’anno (32 euro al mese circa se si considerano 13 mensilità). Negli altri Paesi non è andata così.
In Germania ogni lavoratore ha avuto in media un incremento di salario pari a circa 5.000 euro l’anno e in Francia addirittura la crescita del salario medio è stata di 6.000 euro.
Le cose non sono andate meglio dal punto di vista della composizione della forza lavoro: in dieci anni (2007 – 2017) gli occupati con età compresa tra i 25 e i 34 anni si sono ridotti di circa un terzo (27,3%) mentre, nello stesso periodo, la classe di età 55 – 64 anni è cresciuta del 72,8%.
Tradotto in termini più concreti, questo vuol dire che in dieci anni si è passati dall’avere 236 giovani occupati ogni 100 anziani ad un rapporto di sostanziale parità (99 giovani occupati ogni 100 anziani occupati). E i dati non sono migliori se si considerano i lavoratori più “pregiati” ovvero i laureati.
Peraltro, rileva ancora il Censis, i pochi giovani rimasti sono sottoccupati e “costretti” spesso a lavorare part – time (650.000 nel 2017, 150.000 in più rispetto al 2011).
Se i dati si calano poi sui territori, le difficoltà e le carenze del “sistema Italia” sono ancor più evidenti e nette.
Se infatti regioni come la Lombardia, l’Emilia – Romagna, ma anche, seppur in modo un po’ meno dinamico, il Veneto e la Toscana sono ormai in recupero rispetto alla fase di crisi degli anni passati, in altre realtà regionali importanti come Lazio, Piemonte, Campania, Liguria, Sicilia, Marche ed Umbria (queste ultime colpite anche dal sisma del 2016) i valori pre – crisi sono ancora molto lontani. E naturalmente l’impatto dell’andamento economico si riversa anche sulle evoluzioni del tasso di occupazione determinando delle ulteriori “fratture” dello stivale. Un esempio per tutti: nel 2008 il tasso di occupazione in Lombardia era 22,8 punti sopra quello della Sicilia, nel 2017 il divario ha raggiunto quota 26,7 punti.
Di conseguenza, dice il Censis, nelle regioni del centro – nord cresce la popolazione, mentre al sud si contrae.
L’altro tema caldo, il terzo, sul quale l’Italia ha necessità che si intervenga è quello della sicurezza, si dice nel 52° rapporto Centro Studi Investimenti Sociali.
Il periodo di crisi ha infatti generato cambiamenti anche sulle percezioni degli italiani, in particolare rispetto al fenomeno migratorio. Oggi, infatti, il 63% degli italiani vede in modo negativo l’immigrazione da Paesi non comunitari e il 45% ha un’opinione negativa anche sugli ingressi dai Paesi comunitari. Questo atteggiamento “ostile” è più forte nelle fasce più deboli del Paese (over 55, disoccupati) mentre sono meno critici gli imprenditori.
L’opinione prevalentemente negativa rispetto agli immigrati è spinta soprattutto da alcune convinzioni: il 58% degli italiani pensa che questi stranieri possano togliere lavoro ai connazionali, il 63% li ritiene un peso per il welfare, ma soprattutto il 75% pensa che l’immigrazione aumenti il rischio di criminalità.
Se questa è la situazione attuale, quella futura non è certo migliore: quasi il 60% degli italiani pensa infatti che tra dieci anni non ci sarà un buon livello di integrazione tra le varie etnie.
Il quarto snodo, infine, individuato dal Censis, è quello delle forme di convivenza. Anche qui i dati non sono incoraggianti: ci si sposa sempre meno (- 17,4%), ci si separa di più (+ 14% in 10 anni), ma soprattutto crescono i divorzi (+ 100% in 11 anni) e i single ( + 50%).
È da qui che si deve ripartire, dice il Centro Studi ideato e diretto da Giuseppe De Rita, ma facendo attenzione a cosa e come si guarda avanti…..