Seppur in modo graduale anche i cubani potranno navigare su Internet dal proprio smartphone. Rimangono gli alti costi di connessione e una tecnologia che nel resto del mondo è considerata ormai superata, ma tale fatto rappresenta il primo passo verso la democratizzazione dell’innovazione
di Alessandro Alongi
A sessant’anni dalla celebre ribellione che portò Fulgencio Batista a fuggire dall’isola la notte di Capodanno, le rivoluzioni a Cuba non si fermano, anche se ormai i maggiori cambiamenti politici, economici e culturali non si giocano più sulla spiaggia della baia dei Porci quanto piuttosto sul web.
L’annuncio è stato dato la scorsa settimana da Mayra Arevich, presidente della compagnia di telecomunicazioni pubblica cubana ETECSA: dallo scorso 6 dicembre gli abitanti dell’isola possono finalmente avere accesso a Internet direttamente dal proprio telefonino, e quello che può apparire banale e scontato per l’occidente tecnologico rappresenta, invece, una vera e propria rivoluzione per gli abitanti di L’Avana e dintorni.
La misura, considerata come il primo passo per l’apertura tecnologica del Paese, candida Cuba a risalire dal fondo della classifica delle nazioni meno connesse al mondo, staccando così la Corea del Nord che, adesso, diventa il fanalino di coda dell’innovazione.
Sino a giovedì scorso i cubani potevano usare la connessione in mobilità soltanto per leggere le email da account statali, adesso il salto (si fa per dire) di qualità: grazie alla collaborazione con la società cinese Huawei (la stessa finita nel mirino del Presidente Trump accusata di spiare, tramite i suoi prodotti, la vita degli americani), è stata predisposta una rete 3G lungo tutto il Paese, soluzione non particolarmente evoluta (l’Europa inaugurerà presto il 5G) ma pur sempre capace di fornire i “rudimenti” tecnologici agli isolani.
Rimangono, da un lato, i problemi tecnici, messi in luce nei mesi scorsi dalla sperimentazione su larga scala (sono state registrate difficoltà di connessione e congestione dei servizi vocali e dati, a causa dell’instabilità di una parte della rete) e, dall’altro, i costi eccessivi della fornitura del servizio, cosa che, di fatto, esclude già a priori gran parte della popolazione, destinando la navigazione alla sola élite del Paese.
Al momento il costo per megabyte è stato fissato in 10 centesimi di dollaro (2 centesimi se si naviga su siti internet cubani), con possibili formule a pacchetti di 600 megabyte (7 dollari) o 4 gigabyte (20 dollari), cifre comunque proibitive se si considera che uno stipendio medio viaggia intorno ai 30 dollari mensili.
A ciò si affianca un problema di vigilanza e controllo dei siti web aperti alla navigazione, retaggi del regime mai sopiti. Non tutte le pagine web saranno disponibili alla visualizzazione, escludendo by definition quelli critici al governo e sobillatori di masse, non venendo meno il disposto costituzionale sul controllo dei media privati, unicum nell’America latina e forma di censura preventiva sempre attiva.
Nonostante ciò il ministro delle Comunicazioni cubano Jorge Luis Perdomo ha espresso la sua soddisfazione al neonato progetto, affermando che «la nostra politica ha voluto concentrarsi su Internet come strumento utile per le persone, che deve essere disponibili per tutti», ribadendo come la rete «incoraggia lo sviluppo economico, sociale e culturale». Sante parole, ma solo se viene garantita la libertà, magari a prezzi di saldo.