“La manovra del cambiamento? Il cambiamento c’è stato, infatti, dopo anni, invece di ridurre la spesa si è deciso di aumentarla. La vera priorità per l’Italia è la riduzione della burocrazia e una riforma della giustizia civile”
Questa manovra “del cambiamento”, nell’intenzione dei proponenti, avrebbe dovuto rappresentare una finanziaria rivoluzionaria nelle misure e nel suo impatto economico, dal reddito di cittadinanza alla “quota 100” sino alla flat tax. Qual è il suo giudizio generale?
C’è sicuramente un cambiamento rispetto al passato, che si vada poi verso la direzione giusta è tutto da vedere. Il cambiamento c’è perché al contrario degli anni scorsi, dove si era contenuta la spesa pubblica, e le poche risorse disponibili erano state utilizzate per ridurre la pressione fiscale, quest’anno la spesa aumenta. Il prossimo anno poi, se si prenderà alla lettera ciò che è stato approvato dal Parlamento, ci sarà un significativo aumento della pressione fiscale con la maggiorazione dell’Iva. Se questo, invece, non avverrà allora aumenterà il deficit pubblico. Una cosa che io vedo molto rischiosa.
Il reddito di cittadinanza, in qualunque modo la si pensi, è una misura innovativa, almeno nella sua portata sociale. Era necessaria? Funzionerà?
In Europa è già presente in molte realtà mentre in Italia avevamo già il REI. Ma finanziare misure del genere in deficit per un Paese come il nostro che ha già un debito pubblico elevato aumenta il rischio di una crisi.
La flat tax – per quanto ci sia stata una rimodulazione degli ex regimi dei minimi e forfetario – è un po’ la grande esclusa da questa manovra. Per l’economia italiana quale sarebbe stata la misura shock più efficace a favore del popolo delle partita iva?
Questa misura, molto piccola, va a beneficiare le microimprese. E una previsione del genere tende a far rimanere piccolo ciò che è già piccolo. Avrei preferito una riduzione generale della tassazione finanziata però con un contenimento della spesa.
Cosa significherà per i nostri conti pubblici, anche alla luce degli impegni sottoscritti con l’Europa e con gli elettori, il rischio recessione?
I dati della produzione allarmano, non c’è crescita. E questo è un problema anche per i conti pubblici. Il prossimo anno il governo prevede una crescita del Pil dell’1% in termini reali. Mi sembra molto difficile. Partendo dalla crescita zero degli ultimi mesi anche arrivare allo 0,5-0,6% ci dovrà essere nella seconda parte del 2019 una accelerazione.
Se né la “quota 100” né il reddito di cittadinanza rappresentano misure positive per il miglioramento dello stato dei conti pubblici, fosse stato lei al governo che tipo di manovra avrebbe proposto?
Prima di parlare di manovra sui conti pubblici occorrerebbe pensare alle riforme che possano rimettere in piedi un Paese. Serve un intervento per ridurre la burocrazia, uno dei più grandi mali italiani per le imprese italiane, perché aumenta i costi e scoraggia gli investimenti. Allo stesso tempo andrebbe riformata seriamente la giustizia civile, siamo tra i peggiori in Europa. Bisogna poi ridurre la pressione fiscale ma risparmiando sulla spesa. Credo che solo in questo modo si possa aiutare il Paese da una parte a recuperare competitività e dall’altra a crescere di più. Con la crescita ci sono più entrate e mantenendo stabile la spesa migliora anche l’avanzo primario. Se andiamo in crisi e lo spread torna a 500-600 punti base torneremo alla situazione già vista nel 2011 e allora lì sarebbe necessario qualcosa di più drastico. Speriamo di non arrivarci.