Obice ad alzo “zero” sulle “bufale” online in vista della prossima campagna elettorale europea. Facebook allestisce la prima “war room” per passare al setaccio l’attendibilità di ogni notizia grazie all’impegno di 30 mila persone che garantiranno la sicurezza dell’informazione
di Alessandro Alongi
Lotta senza quartiere alla disinformazione online, in vista soprattutto della prossima tornata elettorale europea.
In previsione del rinnovo del Parlamento di Bruxelles (e delle elezioni nazionali e locali che si terranno in vari Stati membri entro il 2020), prosegue senza sosta l’impegno dell’esecutivo guidato da Jean Claud Junker che, in collaborazione con i principali protagonisti del web, ha avviato diverse iniziative volte a garantire la correttezza e la veridicità del confronto politico online.
La disinformazione che circola in rete, già adesso, rappresenta un pericolo per le democrazie dei 28 Paesi dell’Unione, e l’effetto che le false notizie potranno avere sulla prossima campagna elettorale ha innescato la corsa a costruire solidi presidi utili ad arginare le “bufale” online, falsi mediatici che potrebbero condizionare pesantemente gli esiti del voto europeo a favore di populisti e sovranisti.
Lo scorso 5 dicembre l’Unione europea ha presentato il proprio Piano d’azione volto ad intensificare gli sforzi per contrastare le fake news nel continente. Troppo tardi per una via legislativa, le Istituzioni comunitarie hanno spinto i protagonisti dell’ecosistema digitale a darsi delle regole: un’azione di contrasto al fenomeno non può prescindere dall’attiva collaborazione delle grandi piattaforme social, facendo assumere ad essi impegni precisi in modo da limitare il propagarsi delle frottole digitali. Il mezzo individuato dalla Commissione per raggiungere l’obiettivo è stato la promozione di un Codice di autodisciplina, documento utile a responsabilizzare i big di Internet di fronte al dilagare di notizie false.
Lunedì è stato il turno di Facebook (spesso accusata da Bruxelles di tenere un atteggiamento “irregolare” nei confronti delle notizie false) che, per bocca del suo portavoce Nick Clegg (ex numero due di David Cameron) ha descritto la strategia anti-fake in programma per i prossimi mesi, non senza prima aver fatto un mea culpa: «senza dubbio in passato sono stati commessi errori» ma, dopo aver imparato la lezione, adesso la piattaforma «entra in una nuova fase di riforma, responsabilità e cambiamento».
Si apprende così che la creatura di Mark Zuckerberg obbligherà tutti coloro i quali vorranno pubblicare un annuncio elettorale a specificare i nomi di chi ha pagato l’inserzione, grazie ad un’avvertenza da porre ben in vista: “paid for by”. Tutti gli annunci, poi, verranno archiviati per sette anni, insieme ai dettagli della loro diffusione e ai dati specifici sull’acquirente della pubblicità. Tutto ciò sarà reso possibile grazie a 30.000 collaboratori che, minuto per minuto, scoveranno e filtreranno i contenuti fake.
Primo test dell’efficacia delle nuove misure già tra qualche giorno, in occasione delle elezioni in India. Dopo questa prima fase il gabinetto di guerra tornerà a riunirsi (e ad affilare le armi) in vista delle competizioni in Ucraina, in programma ad aprile e maggio.
Nonostante le buone intenzioni del social network, però, le prime crepe stanno già affiorando all’interno della stanza di guerra. Nei giorni scorsi il dibattito ha registrato la dura presa di posizione da parte di Brooke Binkowski, collaboratrice in tema di fact-checking del gigante di Menlo Park: «Il management di Facebook non prende niente seriamente, ed è interessato soltanto ad apparire bello e bravo, scaricando ogni responsabilità». Al suo ‘They don’t care’ si sono aggiunte le perplessità di Julian King, commissario della sicurezza della UE, parole espresse in occasione della conferenza stampa di Nick Clegg: «Restiamo preoccupati per il ritmo dei progressi che, su questi temi, deve essere più veloce. Non possiamo permetterci di svegliarci dopo le elezioni per scoprire che potremmo e dovremmo fare di più. Dobbiamo agire ora». Il riferimento è legato al fatto che il piano di controllo sui contenuti pubblicati da Facebook è al momento attivo soltanto su sette stati europei, un po’ poco secondo la Commissione europea, la cui ansia da elezioni è ormai a livelli adrenalinici.
Tutti vogliono scongiurare una valanga di bufale capaci di confondere gli elettori, così come avvenne in occasione del referendum sulla Brexit nel 2016. L’auspicio di un ne bis in idem, però, è tutto in salita.