Aumenta la popolazione nel mondo, ma diminuisce la felicità. Finlandia, Danimarca e Norvegia i Pesi più “happy”. Seguono Islanda, Olanda, Svizzera, Svezia, Nuova Zelanda, Canada e Austria. L’Italia è al 36esimo posto, in netta salita rispetto al 47esimo posto dello scorso anno. La relazione tra felicità e comunità al centro del nuovo rapporto.
“Dimmi in quale Paese vivi e ti dirò quanto sei felice!”
Basta infatti leggere l’ultimo World Happiness Report, giunto ormai alla settima edizione, per sapere quali sono gli Stati in cui i cittadini sono più felici.
Su tutti, in base ai dati raccolti tra il 2016 e il 2018 da Jeffrey Sachs, John Halliwell e Richard Layard, svetta ancora una volta la Finlandia, mentre l’Italia recupera undici posizioni rispetto allo scorso anno, guadagnando il 36esimo posto.
In generale, si dice nel rapporto prodotto anche grazie alla Fondazione Illy, sono i Paesi del Nord Europa ad essere considerati più “happy”: il podio è infatti composto dalla Finlandia, dalla Danimarca e dalla Norvegia mentre seguono, nell’ordine, Islanda, Olanda, Svizzera, Svezia, Nuova Zelanda, Canada e Austria.
Ma anche se si parla di felicità, qualche nota dolente il rapporto la mette in evidenza. Ad esempio, si è osservato che alla crescita della popolazione mondiale degli ultimi anni non è corrisposto un incremento di felicità nel mondo. Anzi, il livello di felicità globale è calato mentre sono aumentate le emozioni negative come la preoccupazione, la tristezza e la rabbia. E tutto questo è accaduto soprattutto in Asia e Africa.
Ma cosa significa essere felici e come si misura la felicità? Dare una risposta a questa domanda non è facile, quasi impossibile.
Un tentativo però lo ha fatto l’Ambasciatrice Mariangela Zappia, Rappresentante Permanente italiana presso le Nazioni Unite a New York, proprio in occasione della presentazione del World Happiness Report:
“Possiamo considerare la felicità come un prodotto della combinazione dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Le politiche pubbliche devono tener conto in maniera coerente di tutti i fattori sociali, economici ed ambientali che incidono sul benessere della persona. Si tratta di un cambio di prospettiva fondamentale, culturale e politico. L’Italia è stata tra i primi paesi ad adottare questo paradigma, integrando nella sua programmazione finanziaria dodici indicatori correlati al conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.”
Sembrerebbe quindi che la strada intrapresa dall’Italia, già da quando il Cnel e l’Istat, nel 2012, realizzarono il primo Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile, sia quella giusta, anche se molto c’è ancora da fare.
Il World Happiness Report di quest’anno aiuta anche in questo senso, dedicando una serie di approfondimenti alla relazione tra felicità e comunità, con uno speciale focus sulla tecnologia, le norme sociali, i conflitti e le azioni di governo che hanno condotto a tali cambiamenti. Uno dei capitoli del rapporto è poi dedicato a generosità e partecipazione degli individui nella società, per dimostrare quanto la partecipazione elettorale, i big data, l’uso di Internet e le dipendenze incidano sul livello di felicità percepito.
Secondo John Helliwell “il mondo sta cambiando molto velocemente. Il modo in cui le comunità interagiscono tra loro, nelle scuole, negli ambienti lavorativi, nei vicinati o nelle interazioni sui social media ha degli effetti profondi sulla felicità nel mondo“.
“Viviamo un momento di transizione verso una nuova era e questo genera un senso di incertezza“, ha commentato invece Andrea Illy, presidente di Illycaffè e membro del Cda della Fondazione Ernesto Illy. “Il rapporto di quest’anno fornisce una serie di elementi che dovrebbero far riflettere su quanto le dipendenze stiano causando infelicità e depressione negli Stati Uniti – ha aggiunto Jeffrey Sachs, direttore del Sustainable Development Solutions Network – le dipendenze possono essere di vari tipi: dall’abuso di sostanze al gioco d’azzardo, fino all’utilizzo incontrollato dei media digitali. L’uso compulsivo di sostanze e comportamenti di dipendenza stanno causando grave infelicità. I governi, le comunità e le aziende dovrebbero utilizzare questi indicatori per mettere in pratica nuove politiche finalizzate a superare queste fonti di infelicità“.
La consapevolezza e la cultura, però, come si diceva, comincia a diffondersi. Testimonianza ne è il fatto che inizialmente i lettori del World Happiness Report consultavano principalmente la classifica dei Paesi; ora invece, dicono i realizzatori dello studio, c’è un crescente interesse nell’utilizzare i dati e le analisi per capire come rendere scuole, case, ambienti di lavoro e comunità dei luoghi più felici e come utilizzare le ricerche per una reale proposta di miglioramento.