Il voto per il rinnovo dell’assemblea parlamentare europea nel Regno Unito sconfessa lo spirito della Brexit e certifica (oltre al fallimento dei conservatori) tutte le difficoltà di un progetto al momento difficilmente realizzabile
Sembra un paradosso ma, a tre anni dal referendum che consacrò la volontà popolare di uscire dall’Unione europea, i cittadini di Sua Maestà britannica saranno chiamati, insieme ad altri 450 milioni di europei, a rinnovare il Parlamento dell’UE.
La domanda (o la morbosa curiosità) che da più parti si ci pone è quale significato politico gli inglesi attribuiranno alla competizione del 26 maggio, un appuntamento con le urne che, in fin dei conti (e coerentemente con le scelte assunte e il percorso intrapreso dal governo londinese) potrebbe anche essere disertato, suggellando così (indirettamente) la volontà di strappare la perfida Albione dal resto del Continente.
O magari avverrà proprio il contrario. Le elezioni di fine mese potrebbero rappresentare una sorta di “recall” del referendum del 23 giugno 2016, occasione da cogliere al volo per dimostrare la scarsa avvedutezza dimostrata, con cittadini in fila ai seggi a conferma della volontà di appartenere ancora a quell’Unione così bistrattata ma senza la quale, forse, tutti staranno peggio.
Quale potrà mai essere il giudizio dell’elettorato chiamato a rinnovare un’istituzione della quale non avrebbe mai dovuto più sentir parlare?
A prescindere dal sentiment con il quale gli inglesi si avvicineranno alle urne, la commedia degli equivoci comunque andrà in scena.
Il primo coup de théâtre potrebbe essere proprio la rielezione, in seno all’assemblea di Strasburgo, di Nigel Farage, il “padre” della Brexit, forte del suo nuovo partito Brexit Party. Da assoluto oppositore del progetto comune a inquilino di un ufficio comunitario il passo è breve. Sarà egli in grado di portare acqua (e deputati) al mulino populista oppure, considerando che tradizionalmente il voto inglese ha condotto a Strasburgo sempre più socialisti e popolari, esso paradossalmente potrebbe contribuire a stabilizzare l’Europarlamento a spese dei progetti sovranisti di Orban, Salvini e Le Pen?
La partita è sempre più aperta, e su questo palcoscenico nemmeno i laburisti dormono sonni tranquilli. Un altro effetto dell’inaspettato voto europeo in programma la prossima settimana potrebbe essere quello di spegnere ogni speranza per Jeremy Corbyn di fissare la sua nuova dimora al numero 10 di Downing Street. 11 deputati ribelli laburisti e conservatori hanno dato vita, nelle scorse settimane, ad una nuova formazione, Change Uk, forza politica filo europeista che condanna apertamente l’indecisione e l’ambiguità di Corbyn sull’uscita dall’Unione. In caso di vittoria si profilerebbe di certo un nuovo equilibrio politico, e a farne le spese saranno i vecchi leader.
Di questo clima di incertezza ne approfitta il presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker, che utilizza lo smarrimento inglese per togliersi qualche sassolino dalla scarpa: «Rispetto al Parlamento britannico la Sfinge egiziana è un libro aperto» ha dichiarato, non disdegnando un Je accuse: «Fu un errore aver ascoltato l’allora premier britannico David Cameron quando mi chiese di non interferire nella campagna referendaria sulla Brexit nel Regno Unito. Noi saremmo stati gli unici in grado di smontare le bugie che sono state raccontate».
Intanto, vaticini o no, queste elezioni sanno da fare: se il Parlamento europeo venisse costituito senza la presenza dei rappresentanti di uno stato ancora membro (come l’UK ancora di fatto è) ci sarebbe il rischio di deliberare illegittimamente, mancando il plenum assembleare. La Corte di Giustizia non darebbe scampo, bloccando sine die l’attività dell’emiciclo. E questo, ai sovranisti, piacerebbe molto.