La principale fonte di finanziamento della spesa in R&S è rappresentata da imprese e istituzioni non profit, con 13,1 miliardi di euro. Cresce anche la spesa delle istituzioni pubbliche, resta stabile quella dell’Università. Lombardia, Lazio, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto investono per quasi il 70% del totale
Finanziamento e spesa in ricerca e sviluppo in Italia dipendono dal settore privato.
Così è scritto nel report dell’Istat di settembre intitolato “Ricerca e Sviluppo in Italia – Anni 2017-2019”
Il settore privato, imprese e istituzioni non profit, è infatti la principale fonte di finanziamento della spesa in R&S (Ricerca e Sviluppo) contribuendo a coprirne il 55,2%.
Si tratta, in pratica, di 13,1 miliardi di euro che servono ad attivare una delle leve più importanti pe consentire al nostro Paese di competere sul mercato globalizzato.
Le imprese questo lo sanno bene ed anzi ne sono sempre più consapevoli e convinte tanto che la spesa in R&S intra-muros è addirittura cresciuta (+5,3%) negli ultimi anni.
Una crescita che ha peraltro compensato la flessione registrata dalle istituzioni private non profit seguite dal settore delle istituzioni pubbliche con il 32,3% della spesa (circa 7,7 miliardi) e i finanziatori stranieri (imprese, istituzioni pubbliche o università estere), che partecipano all’11,7% della spesa (circa 2,8 miliardi).
Dal punto di vista geografico, la spesa in ricerca e sviluppo si concentra maggiormente nelle regioni del Centro-nord.
Lombardia, Lazio, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto attivano quasi il 70% della spesa in R&S.
Nel 2017, la classifica delle regioni che spendono di più in ricerca e sviluppo resta stabile rispetto all’anno precedente. Il 68,1% della spesa totale (era il 68,0% nel 2016), pari a 16,2 miliardi di euro, è concentrato in cinque regioni (Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto). Guardando invece al settore delle imprese, tale quota supera il 75% (76,1% nel 2016).
Quanto ai cosiddetti settori istituzionali (imprese, istituzioni pubbliche, istituzioni private non profit e università), l’Istat ha stimato che nel 2017, la spesa totale in R&S da essi sostenuta è stata di quasi 24 miliardi di euro. Il dato è in crescita del 2,7% a prezzi correnti e incide sul Pil per l’1,38%.
Nel medesimo anno 2017 l’Istat ha rilevato che la ricerca applicata rappresenta la principale voce di investimento (10 miliardi di euro, pari al 42,1% della spesa complessiva), seguita dalle attività di sviluppo sperimentale (8,5 miliardi di euro pari al 35,7% del totale) e, infine, dalla ricerca di base (circa 5,3 miliardi di euro, pari al 22,2%).
Diversa la situazione nelle imprese che prediligono invece lo sviluppo sperimentale (7,7 miliardi, pari al 51,7% della spesa totale).
“Cresce nel 2017 – dice l’Istat – il personale impegnato in attività di R&S, conteggiato sia in unità sia in termini di unità equivalenti a tempo pieno (Etp). In particolare, il personale impegnato in attività di R&S ammonta a 482.703 unità, in forte aumento rispetto al 2016 (+10,9%). La stessa tendenza si registra per il personale addetto alla R&S espresso in termini di unità Etp, che aumenta del 9,5% (da 290.039,5 nel 2016 a 317.628,3 nel 2017). L’aumento è attribuibile soprattutto al settore delle imprese (+20,5% in numero e +16,7% in Etp) ed è determinato prevalentemente dall’aumento del numero di imprese che hanno svolto attività di R&S intra-muros nel 2017. Di minore entità (+0,7%) è la crescita del personale nel settore pubblico sia in numero sia in unità Etp. I ricercatori aumentano del 5,2% in termini di unità (da 185.916 del 2016 a 195.560 nel 2017) e del 5,0% in termini di Etp (da 133.705,7 a 140.378,2). L’incremento dei ricercatori riguarda prevalentemente il settore delle imprese (+13,4% in termini di unità e +11,2% in Etp), meno quello delle istituzioni pubbliche (+2,4% e +1,9%). I ricercatori (espressi in Etp) rappresentano complessivamente il 44,2% del totale degli addetti alla R&S, in calo di 1,9 punti percentuali rispetto al 2016. Nelle istituzioni non profit si rileva l’incidenza maggiore (67,4%), seguono le università (63,9%), le istituzioni pubbliche (57,1%) e, infine, le imprese, con circa un terzo del totale degli addetti in Etp alla R&S.
Rispetto alla struttura di “genere” del settore, l’Istituto nazionale di statistica ha evidenziato, con riferimento all’anno 2017, che “le donne impegnate in attività di R&S ammontano a 156.044, pari a 101.907,0 unità in Etp (rispettivamente +7,2% e +6,3% rispetto al 2016). Tuttavia, il personale maschile cresce di più sia come unità (+12,7%) sia come Etp (+11,1%). L’incremento della componente femminile degli addetti alla R&S è particolarmente elevato nelle imprese (+20,8% in termini di unità e +17,0 in termini di Etp). Le ricercatrici risultano pari a 67.131 (48.637,2 unità espresse in Etp), in crescita del 2,6% rispetto all’anno precedente (+2,4% in Etp). Anche tra le ricercatrici l’aumento più significativo si osserva nelle imprese (+8,6% in Etp), mentre risulta pari all’1,3% e all’1,0%, rispettivamente, nelle università e nelle istituzioni pubbliche. Nonostante l’aumento generale della componente femminile nella R&S, aumenta il gap di genere: nel 2017 le donne rappresentano circa un terzo degli addetti complessivamente impegnati nella R&S
Per il 2018, infine, si registra una positiva crescita della spesa in R&S: + 6,2% per le istituzioni private non profit, + 6,0% per le istituzioni pubbliche e + 2,8% per le imprese.
E questo dato fa ben sperare.