La presentazione della NaDef chiude la stagione dei proclami e apre quella del bilancio, con una road map piuttosto serrata che porterà alla Legge di Bilancio in poco meno di due mesi. Resta una grande incognita, un punto interrogativo verso un soggetto sparito dal dibattito delle ultime settimane: il debito pubblico
Alla fine la nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza è arrivata. Qualche rumore, neanche troppo considerati i toni del recente passato, hanno fatto da preambolo al documento, con le forze politiche del tutto eterogenee che compongono il nuovo governo a cercare di ritagliarsi un “ruolo”. Quale che sia quest’ultimo, se da prima donna oppure da voce fuori dal coro o ancora da guastafeste o da bastian contrario, è del tutto irrilevante.
Ad ogni modo l’aggiornamento del Def è stato redatto e presentato con un clamore decisamente minore rispetto ai documenti in materia di manovra finanziaria dei mesi precedenti. Il nuovo inquilino del Mef, Roberto Gualtieri, storico di formazione gramsciana, ha ampiamente premesso quanto la NaDef –forse parafrasando lezioni di socialismo reale – sarebbe stata un bagno di realtà.
E da quanto si evince da una prima lettura del documento, quello che sarà poi il disegno di Legge di Bilancio da presentare al parlamento il 20 ottobre, è senza dubbio una manovra priva di fantasia – come è anche giusto che sia, verrebbe da aggiungere – ma non proprio adesa alla realtà.
Si parla infatti di una manovra da circa 29/30 miliardi di euro, dove buona parte (23,1 mld) saranno destinati a disinnescare le clausole di salvaguardia dell’Iva. Altri 2 mld serviranno per sostenere le cosiddette spese indifferibili, solo 2,5 mld andranno a limare il cuneo fiscale e con un’altra manciata di voci di investimenti si arriverà alla cifra complessiva di cui sopra. E fin qui niente di anomalo, nessun guizzo, come ribadito da Gualtieri, verso una sorta di sentiero stretto di padoanesca memoria.
Scelte oculate, necessariamente ponderate, per i tempi stretti con i quali si è formato il governo e la necessità di tranquillizzare mercati ed Europa.
Ma non è sulle misure che lavora la fantasia o meglio viene a mancare la realtà, bensì sulle coperture. Oltre la metà della manovra sarà finanziata in disavanzo, con una promessa strappata alla Commissione europea di concedere un deficit al 2,2% del PIL (con buona pace dei rigoristi nordisti), mentre per la restante parte – circa 14 miliardi di euro – serviranno interventi su spese ed entrate.
Un passaggio cruciale, dove la narrazione abbandona il reale e lambisce se non l’utopico, almeno l’onirico.
Efficientamento della spesa pubblica, nuove imposte ambientali e altre misure fiscali dovrebbero garantire un tesoretto di oltre 7 miliardi ma al conto mancherebbero ancora più di 7 miliardi di euro per fare il totale. E come si intendono reperire queste coperture? Con una lotta serrata all’evasione fiscale. Intento – neanche a dirlo – nobile. Riuscita, tutta da vedere.
In Italia l’evasione fiscale vale circa 109 miliardi di mancati introiti nelle casse dello Stato, cifra che basterebbe per quattro manovre finanziarie. E’ quindi ragionevole pensare di recuperarne anche solo 7, un po’ meno che bastino incentivi verso i pagamenti elettronici, cashback o rimborsi direttamente sui conti correnti per disincentivare l’uso del contante, aumentare notevolmente i pagamenti tracciabili e scardinare un Sistema Paese che vede nel nero e nel “sarebbe-100-senza-fattura-facciamo-80”, una pratica assodata da decenni. Da Tangentopoli in avanti nessun governo è riuscito a contrastare realmente l’evasione fiscale e negli ultimi dieci anni le soglie per il contante sono state rimodulate otto volte non portando ad alcun esito. Ma, si sa, è sempre bello ricredersi in positivo.
Quel che è certo è che con la presentazione della NaDef si chiude la stagione dei proclami e si apre quella del bilancio, con una road map piuttosto serrata che parte dall’Ecofin e dall’Eurogruppo, ripassa dal parlamento italiano e si conclude in Commissione europea in poco meno di due mesi. Nell’augurare che le scelte del governo si rivelino corrette e diano ricadute positive per tutti, resta una grande incognita, un punto interrogativo verso un soggetto sparito dal dibattito delle ultime settimane: il debito pubblico.
Nessun esponente politico ne ha parlato e nessuna soluzione per una riduzione è stata formulata all’interno della NaDef; il Governo ha addirittura spiegato come in nessuna configurazione possibile si sarebbe potuto rispettare il tetto imposto dal trattato di Maastricht. Eppure nel 2020 il rapporto debito/PIL arriverà a un impronunciabile 135,2% e forse – ed è il caso di ribadire forse – calerà di qualche punto nel 2021. Non importa, d’altronde si tratta solo di un pacchetto di cambiali da più di 2.300 miliardi abbandonato a se stesso.
Chiaro che non lo si possa ignorare così come è altrettanto cristallino che tra le fila di questo e dei prossimi Governi vada trovato il coraggio per predisporre un piano a medio se non a lungo termine per la riduzione del debito, al di fuori delle ipotesi, delle fantasticherie e ben lontano dagli escamotage come le clausole di salvaguardia dell’Iva trovando il difficile equilibrio tra rilancio della crescita e stabilità finanziaria, sfruttando le politiche monetarie delle banche centrali che di certo non possono monetizzare ad eternum i debiti pubblici.
Nessun economista che si voglia fregiare di questo titolo ammetterà mai che il debito pubblico non è pensato per essere totalmente risanato, anzi. Ma almeno ridotto, magari solo in parte, fosse anche un tentativo non riuscito, sì. A questo ci arriva anche un maturando di ragioneria.