Indice Internazionale sulla tutela dei Property Rights: online la classifica mondiale del 2019. L’Italia rasenta la sufficienza. Preoccupano i dati sull’instabilità politica
Se è vero che si può misurare con un indice il livello di tutela dei diritti di proprietà di un Paese, allora l’Italia ha ancora molta strada da fare per raggiungere gli standard di garanzia assicurati dagli altri Paesi del G7.
E’ quanto emerge dai dati pubblicati nell’International Property Rights Index 2019 (IPRI) presentato in questi giorni nelle Filippine dalla Property Rights Alliance, un’associazione di 118 istituti di ricerca, operativa in 72 nazioni, per la promozione nel mondo dei diritti di proprietà, intesi nelle loro differenti accezioni.
Raggruppati secondo diversi criteri, tra cui quello geografico, il livello di reddito pro capite e quello complessivo di sviluppo, 129 paesi, rappresentativi del 94% della popolazione mondiale e del 98% del PIL, sono stati misurati in base al livello di tutela assicurato ai diritti di proprietà e alla loro diretta correlazione con la qualità della vita di quel Paese.
I risultati dell’indagine dimostrerebbero infatti che i paesi col più alto punteggio in tutela dei diritti di proprietà (cd. “property rights”), sarebbero anche quelli a più alto reddito e con il maggiore livello di sviluppo.
Con un punteggio finale che rasenta la sufficienza – 6,1 su 10 – l’Italia si attesta solo al 46esimo posto nella classifica mondiale che vede in testa Finlandia, Svizzera e Nuova Zelanda, che totalizzano un risultato superiore a 8,5 punti. Chiudono il ranking, la Repubblica dello Yemen (2,67), Haiti (2,7) e il Venezuela (2,9).
Partendo quindi dall’assunto che quelli di proprietà si configurano come dei veri e propri diritti umani, che alimentano la crescita economica e lo sviluppo sociale, oltre a promuovere l’innovazione e la produttività di una nazione, l’indice tiene in considerazione tre macro-componenti, in relazione alle quali sono state giudicate le performances dei vari Paesi: sistema politico e giuridico, tutela dei diritti fisici e tutela dei diritti intellettuali.
Ed è proprio il basso livello di stabilità politica, la scarsa efficienza della giustizia civile, oltre agli alti livelli di corruzione percepiti, a penalizzare l’Italia in quello che è, secondo il rapporto, il fattore più debole anche a livello mondiale, ovvero l’ordinamento giuridico-politico, che difatti decresce rispetto all’anno scorso di -1,07% punti.
Stando ai dati relativi al nostro Paese, la salvaguardia dei diritti di proprietà rappresenterebbe un fattore-chiave di interesse per il business italiano in quanto determinante per una competizione di successo sui mercati esteri, in particolare quando si tratta di marchi e prodotti Made in Italy. E’ infatti anche grazie alla tutela della proprietà intellettuale che viene garantito il ritorno sugli investimenti, come quelli sull’innovazione, fattore questo particolarmente importante per le PMI italiane. E sarebbero proprio le piccole e medie imprese a risentire per prime di un sistema di regolazione che non è sempre in grado di proteggere i diritti di proprietà.
La proprietà intellettuale non è quindi solo un mezzo per proteggere le innovazioni dalla concorrenza, ma rappresenta anche una fonte di finanziamento, attraverso le licenze, la vendita e l’interesse suscitato nei confronti sia degli investitori sia dei consumatori.
In questo senso, la garanzia di un alto livello di difesa – a livello nazionale – dei diritti di proprietà, può diventare essa stessa sinonimo del successo economico di un Paese.