A poco più di due mesi dalla nascita dell’Esecutivo, i partiti di maggioranza sono chiamati a un cambio di registro a 180° per scongiurare una crisi ormai strisciante. Se continueranno polemiche e contrapposizioni, il patto M5S-Pd-Italia Viva difficilmente supererà la prossima primavera
Sono trascorsi poco più di due mesi dalla nascita del Governo Conte II, al termine dell’estate più pazza che la politica italiana ricordi, e i contraenti dell’attuale patto di maggioranza si ritrovano già obbligati a cambiare modus operandi per scacciare i fantasmi di una crisi divenuta ormai strisciante.
Dalla Legge di Bilancio da discutere in Parlamento alle trattative per il destino del gruppo ex Ilva, passando per le grandi opere, lo ius soli e le polemiche sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), negli ultimi giorni è infatti lievitato il numero dei fronti di polemica aperti tra Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Italia Viva, tanto che l’intensità dei botta e risposta tra i leader dei partiti ‘alleati’ a Palazzo Chigi sta rendendo quasi superflue le iniziative dell’opposizione di centrodestra.
Malgrado Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti e Matteo Renzi a parole assicurino che l’Esecutivo è destinato a durare fino al 2023, respingendo ogni scenario di conclusione traumatica della Legislatura, con le azioni (loro e dei rispettivi luogotenenti) non hanno fatto altro che alimentare la tendenza a piantare bandierine per crescere nei sondaggi a scapito dei concorrenti più immediati, già risultata esiziale per la tenuta del Governo gialloverde. In questa occasione, tuttavia, le forze politiche in gioco sono più di due e hanno necessariamente bisogno della contrapposizione con i vicini per rilanciare (nel caso di M5S e Pd) o costruire (come per i renziani di Iv) identità e obiettivi di breve-medio periodo.
Come ricordato dalla Commissione Ue con i giudizi espressi nella giornata di ieri sullo schema di manovra trasmessa dal Governo a Bruxelles, l’Italia è un Paese che continua ad avere problematiche strutturali e irrisolte (il già imponente debito pubblico dovrebbe aumentare ulteriormente da qui al 2021, con una crescita del Pil sempre stagnante), le quali si vanno a sommare alle decine di migliaia di posti di lavoro minacciati dalle crisi aziendali aperte su scala nazionale, al dissesto idrogeologico che colpisce intere fasce di territorio e al sentimento di sostanziale insofferenza nei confronti della politica che è tornato a spirare forte in ampi settori della popolazione.
Un simile quadro dovrebbe indurre i partiti che sostengono la seconda esperienza da premier di Giuseppe Conte a lavorare a testa bassa nell’interesse dei cittadini, piuttosto che a dedicare tempo ed energie a interviste incrociate, dibattiti strumentali e alla pianificazione di imboscate parlamentari che non fanno altro che alimentare un clima di incertezza e precarietà permanenti, estremamente dannoso per imprese, risparmiatori e famiglie.
Ciò che occorre, in altri termini, è che le attuali forze di maggioranza mettano a punto quel programma di governo dettagliato che non hanno potuto (o voluto) discutere tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, e che non ha nulla a che vedere con la prosecuzione dell’alleanza tra dem e pentastellati alle Regionali (in queste ore gli iscritti al Movimento stanno decidendo sulla piattaforma Rousseau se presentare le liste in Emilia-Romagna e Calabria, in vista dei cruciali appuntamenti elettorali del 26 gennaio 2020) o con il recupero di temi identitari per tenere a bada gruppi di militanti inquieti.
Gli eventi di queste settimane hanno dunque fatto emergere con evidenza che il passaggio dalla coalizione M5S-Lega a quella giallorossa si è consumato troppo in fretta, e probabilmente senza che la svolta fosse stata metabolizzata da tutti i partecipanti al Conte II. Per porre rimedio a un deficit di questo tipo e imprimere una svolta effettiva all’esperienza governativa in corso, risulta irrinunciabile un cambio di registro a 180° e una ripartenza che si articoli in positivo, senza che continuino a essere l’avversione alla Lega di Matteo Salvini e il rifiuto del ritorno alle urne i veri collanti della maggioranza.
Se si manterrà lo status quo risulta difficile immaginare che l’Esecutivo possa superare la prossima primavera e, di conseguenza, ogni ragionamento sulla scadenza naturale della Legislatura, sull’elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale (in programma per l’inizio del 2022) o su piani roboanti per il rilancio dell’economia non sarà altro che un’ulteriore picconata alla credibilità del sistema politico-istituzionale.