LabParlamento ha intervistato il presidente dell’Associazione Italiana Collaboratori Parlamentari (Aicp), Josè De Falco. “Si adotti il modello europeo: contratti gestiti dalle amministrazioni parlamentari, con fondi riservati e diritti minimi riconosciuti”
Nell’arco degli ultimi mesi e anni, diverse sono state le occasioni in cui è salito agli onori della cronaca il dibattito sulle condizioni lavorative dei collaboratori parlamentari, professionisti che affiancano deputati e senatori in ogni aspetto delle loro attività, ma che troppo spesso sono colpiti dall’assenza di regole e discipline dei contratti a loro riservate.
LabParlamento ha approfondito il tema intervistando il presidente dell’Associazione Italiana Collaboratori Parlamentari (Aicp), Josè De Falco, il quale ha passato in rassegna l’attuale status dei collaboratori, avanzando una serie di richieste per migliorare la situazione.
Presidente, chi è il collaboratore parlamentare e come è regolamentata ad oggi questa figura professionale?
Il collaboratore è un professionista che affianca il parlamentare nell’esercizio delle attività istituzionali: si occupa, in particolare, di atti parlamentari (proposte di legge, emendamenti, interrogazioni), di comunicazione e social media, dell’agenda politica. Nonostante si tratti di una figura centrale, ad oggi non esiste alcun riconoscimento di tale professione e non esistono norme per la disciplina del rapporto di lavoro. Ne consegue che molti collaboratori non sono adeguatamente retribuiti, hanno spesso contratti che non riconoscono ferie, malattia, maternità e trattamento di fine rapporto. Non mancano poi casi di vere e proprie irregolarità, assurti anche all’onore delle cronache: collaboratori pagati in nero, altri cui non vengono versati i contributi previdenziali, altri ancora costretti ad occuparsi di attività palesemente estranee all’attività parlamentare.
Mi pare di capire che il quadro descritto svilisca non poco la figura del collaboratore…
Indubbiamente. Pensi che ancora oggi è diffuso il termine improprio, se non dispregiativo, di ‘portaborse’. Eppure, tra noi ci sono persone con alta qualificazione, con laurea, master e dottorato, ci sono diversi avvocati, giornalisti professionisti, esperti di comunicazione.
Perché ad oggi, nonostante le promesse che negli anni si sono susseguite, sembra mancare proprio la ‘collaborazione’ (giusto per rimanere in tema) di chi assume questi professionisti?
I Parlamenti avrebbero tutti gli strumenti per regolarizzare la posizione dei collaboratori, attraverso la via maestra velocissima di una semplice delibera degli Uffici di Presidenza, uno strumento che in questi anni hanno imparato a conoscere ad esempio in riferimento al tema di riforma dei vitalizi. Ma sinora è completamente mancata la volontà. C’è da pensare che a molti faccia comodo questo regime, nel quale il parlamentare è sostanzialmente libero di avere o non avere un collaboratore, di fare il tipo di contratto che vuole, pagare quanto vuole e, in alcuni casi, chiudere il rapporto dall’oggi al domani.
Addirittura? Si tratta di un unicum italiano o situazioni analoghe si verificano anche nel resto d’Europa?
Qui entriamo nel cuore del problema. Sebbene in tutti i principali Paesi europei, nonché presso il Parlamento Ue, i collaboratori vengano contrattualizzati e retribuiti dall’amministrazione parlamentare con fondi riservati (e, aggiungerei, di adeguata dotazione), in Italia vige la prassi per cui ogni parlamentare assume un proprio collaboratore e lo paga autonomamente. Non c’è una reale supervisione da parte dell’amministrazione, non c’è controllo, non c’è verifica della professionalità dei collaboratori assunti, nulla di nulla. Restando al tema della trasparenza, a differenza di quel che avviene per gli uffici di diretta collaborazione dei Ministri, nemmeno è dato sapere chi sono i collaboratori e quali sono i loro curriculum.
Nell’indennità, però, non c’è una voce dedicata ai collaboratori.
Non esattamente. Il parlamentare riceve, oltre all’indennità strettamente intesa ed alla diaria, anche un importo di circa 4.000 euro mensili come “rimborso per le spese per l’esercizio del mandato”. Per la precisione, i deputati ricevono 3.690 euro, i senatori 4.180. Esiste da alcuni anni anche un obbligo di rendicontazione, ma solo per metà di questa cifra: l’altra metà è attribuita in modo forfetario. Ma anche i circa 2.000 euro da rendicontare, in realtà, non sempre vengono utilizzati per pagare il proprio collaboratore, anche perché possono essere usati per altre finalità (consulenze, ricerche, gestione dell’ufficio, convegni e sostegno delle attività politiche).
Quanti sono, ad oggi, i collaboratori in attività?
Gli Uffici di presidenza, nonostante le nostre continue richieste, non forniscono dati aggiornati né sul numero di contratti, né sulle tipologie di contratti, né sulle retribuzioni medie. Solo alla Camera, nel luglio 2017, in occasione dell’approvazione del bilancio interno, abbiamo avuto una occasionale informazione: risultavano 612 contratti, dei quali 315 (51%) di collaborazione, mentre gli altri erano divisi tra 150 contratti di lavoro subordinato (25%) e 147 autonomi (24%). Alla Camera, il Presidente Fico, a precisa domanda di un giornalista, lo scorso anno rispose che ne risultavano circa 400 contratti. Al Senato, la Presidente Casellati ‘semplicemente’ tace.
In definitiva, cosa chiedete per queste persone che, come emerso, potremmo definire ‘la colonna portante’ dell’attività legislativa?
Aicp chiede da tempo di adottare il modello europeo: contratti gestiti dall’amministrazione, un fondo riservato per garantire adeguate retribuzioni, contratti che assicurino i diritti minimi (ferie, malattia, tfr), trasparenza, pubblicazione sui siti istituzionali dei curricula dei collaboratori. Il Presidente Fico, di recente, si è pubblicamente impegnato a risolvere la questione una volta per tutte, confidiamo che questo impegno venga effettivamente mantenuto.