Il Direttore di LabParlamento ha intervistato l’ex Sindaco di Roma, che ha ripercorso la sua esperienza da primo cittadino tra il 2013 e il 2015 e affrontato il tema delle risorse speciali da assegnare alla città
“Le maggiori Capitali Europee ricevono dai loro Governi le somme per gestire i costi necessari per svolgere il ruolo di Capitale. Londra riceve ogni anno circa 2 miliardi di Euro e Parigi 1 miliardo. Gli Italiani che visitano Londra o Parigi si interrogano sull’efficienza dei trasporti, la pulizia delle strade, la cura del manto stradale, le telecamere di sorveglianza, l’eleganza dei parchi pubblici. Le Capitali ospitano i ministeri, le ambasciate e migliaia di eventi nazionali e internazionali. Roma è sede di almeno millecinquecento manifestazioni ed eventi ogni anno. Da Sindaco chiesi al Governo Renzi il riconoscimento di almeno 400 milioni di euro per gli extracosti della Capitale e solo dopo un lungo negoziato ottenni 110 milioni”. A parlare è il prof. Ignazio Marino, sindaco della Capitale dal 2013 al 2015, oggi Professore di Chirurgia e Senior Vice President presso la Thomas Jefferson University di Philadelphia.
Prof. Marino, il tema degli extra costi per Roma Capitale appare e scompare dall’agenda di governo ad ogni manovra finanziaria.
“La questione degli extra costi di Roma Capitale ha radici antiche e risale addirittura alla designazione del principe Filippo Andrea Doria Pamphilj alla carica di Sindaco, il 10 giugno 1944. Già allora si discutevano due temi: l’ordinamento amministrativo e l’enorme disavanzo del bilancio della città. Nonostante la richiesta del Sindaco per una legge che attribuisse a Roma uno stato speciale e fondi per il ruolo di Capitale si pensò di risolvere con il metodo più facile: contributi dello Stato e mutui della Cassa depositi e prestiti, azione che nei 75 anni successivi ha creato debiti enormi, fino al 2008 con gli ormai noti ventidue miliardi e mezzo di Euro di debiti finiti nella gestione commissariale, pagata oggi in parte con soldi di tutti i contribuenti italiani, in parte con una addizionale comunale dai romani ed anche con una tassa su tutti i biglietti aerei di chi transita per gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino. Un debito – 22 miliardi e mezzo – che gli italiani e i romani riusciranno ad estinguere solo intorno all’anno 2044”.
Quale situazione finanziaria trovò in Campidoglio nel 2013?
“Da sindaco ereditai un ulteriore disavanzo di altri 816 milioni di euro accumulato dal 2008 al 2013, a dimostrazione che senza politiche di controllo e contenimento della spesa l’emorragia delle casse capitoline non può avere argini. Nel 2014, decisi di ridurre, entro il 2016, la spesa corrente di 440 milioni all’anno, eliminando sprechi incredibili nell’acquisto di beni e servizi. Decisi che fosse una priorità portare ordine contabile e richiedere al Governo gli extra costi per le funzioni di Capitale”.
Perché Roma dovrebbe avere un trattamento “privilegiato” rispetto ad altre grandi città?
“Come ho accennato, Roma in quanto Capitale ospita ogni anno oltre 1.500 eventi tra manifestazioni sindacali, eventi politici, culturali, religiosi, diplomatici. Ricordiamo, per esempio, la giornata del 27 aprile 2014, con la santificazione di due papi, Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII. Roma accolse milioni di pellegrini e centododici delegazioni con capi di Stato, presidenti del consiglio, ministri, re e regine di ogni parte della terra, sostenendo una spesa di oltre 7 milioni di euro, pagati dai romani. Io contestai, scrivendo al Governo Renzi, che un evento con Capi di Stato e il nostro Governo schierato in prima fila a San Pietro non fosse una iniziativa di un quartiere di Roma, come il concerto di una banda, ma un evento della Nazione. Di conseguenza quei costi non dovevano pesare sulle tasche dei Romani e per questo proposi una valutazione delle spese sostenute da Roma nella sua funzione di Capitale. Per l’evento del 27 aprile 2014 il Governo Renzi fu felice di presenziare ma anche di lasciare il conto ai Romani. E solo dopo decine di lettere e incontri ottenni 110 milioni l’anno, cifra insufficiente, a fronte di una richiesta che, tra trasporti, ambiente, polizia locale e viabilità, arrivava ad almeno 400 milioni l’anno di costi aggiuntivi. Voglio sottolineare che la somma che richiesi, 400 milioni, è assai più piccola dei 2 miliardi di Londra e del miliardo di Parigi, capitali che hanno obblighi inferiori a Roma perché, per esempio, non ospitano il Vaticano”.
Solo in Italia si discute se dotare Roma di risorse speciali, perché?
“Questa domanda dovrebbe rivolgerla a chi siede in Parlamento. Io posso dirle che studiando questi argomenti con Anne Hidalgo, sindaco di Parigi e sir Edward Lister, vicesindaco di Londra, appresi le modalità con cui Parigi e Londra ricevono le necessarie somme aggiuntive per le rispettive funzioni di Capitale. Tra l’altro Roma, rispetto alle altre Capitali, per ogni Stato straniero ospita non una ma tre rappresentanze diplomatiche: una per gli organismi delle Nazioni Unite, una per il Vaticano e una per lo Stato italiano”.
Perché allora la politica non affronta la “questione Capitale”?
“Il tema degli extra costi e del ruolo di Roma è oggi più che mai un nodo chiave per il rilancio della Capitale e dell’Italia, non solo in termini economici. Roma non può più essere merce di scambio per la politica nazionale ma ha bisogno di un governo centrale che la sostenga e la valorizzi, come avviene con tutte le capitali del mondo. Leggere accordi di programma e vedere la nostra città relegata con riferimenti vaghi all’ultimo posto di una lista di interventi per il Paese ci dà la cifra di come la politica italiana abbia a cuore le sorti di Roma. Io sono convinto che migliorare la qualità della vita a Roma, attraverso trasporti efficienti, strade senza buche, parchi curati, gestione efficiente dei rifiuti, sia possibile e oserei dire anche semplice. Basta saper studiare e programmare. Nei mesi scorsi ho letto che gli imprenditori responsabili della costruzione della Metro C avrebbero deciso di seppellire in una colata di cemento le due talpe una volta giunte nei pressi del Colosseo, rendendo quindi impossibile proseguire i lavori. Perché questo potrebbe accadere? Perché Stato, Regione Lazio e Comune di Roma non hanno messo in bilancio le somme necessarie per proseguire i lavori. Si immagina cosa accadrebbe se in sala operatoria un chirurgo aprisse un addome per sostituire una aorta danneggiata e poi lo richiudesse senza completare l’intervento perché non aveva verificato che fosse stata acquistata la protesi? Ministri, Presidente di Regione e Sindaca possono comportarsi così e nessuno dice nulla.
In che modo si può portare la nostra Capitale a livello delle grandi metropoli europee?
Occorre che tutta la classe dirigente, dal Consiglio Comunale, alla Magistratura, alle Forze dell’Ordine, agli imprenditori, ai dirigenti delle Società di proprietà del Comune, ai Ministeri, lavorino insieme con una visione condivisa. Invece a Roma oggi ognuno lavora con una propria agenda: basta osservare come viene “riparato” il manto stradale. Io avevo introdotto una norma che prevedeva una sorta di ostracismo per le aziende che riparano il manto stradale senza seguire le procedure corrette: dal mio punto di vista lavorare per Roma deve essere un onore per un imprenditore. Vi faccio un piccolissimo esempio. Piazza Navona, un capolavoro del Barocco ridisegnata con le opere di artisti come Bernini e Borromini, ha dei cordoli che delimitano i sanpietrini. Alcuni sono stati sostituiti e invece di metterli identici agli altri li hanno posizionati di forma e dimensioni diverse. È come se a casa propria una persona accetterebbe che per sostituire delle piastrelle danneggiate l’impresa ne mettesse alcune di colore e dimensione diversa dalle altre. Secondo lei il proprietario pagherebbe il conto in silenzio? Roma paga in silenzio. Nessuno è intervenuto, né l’imprenditore che ha potuto mettere nel proprio curriculum di aver lavorato a Piazza Navona, né il Municipio, né il Comune, né il Ministero dei Beni Culturali, né le due Sovraintendenze di Roma, né la Corte dei Conti o il TAR per danni estetici o per eventuali distrazioni di denaro pubblico. Nessuno. È un esempio insignificante rispetto alla gestione dei rifiuti o dei trasporti, ma assai indicativo della qualità della classe dirigente di Roma”.
Anche il Campidoglio però dovrebbe fare la sua parte. La Sindaca ha cominciato a far sentire la sua voce. E’ troppo tardi?
“Chi governa Roma non può aspettare che la soluzione arrivi dall’alto. Non è difficile risanare il bilancio di Roma vendendo ciò che a Roma non serve come avevo programmato io. Penso ad esempio che il Comune di Roma non debba possedere una centrale del latte (per la quale avevo negoziato la vendita ed ottenuto un’offerta di circa 30 milioni di euro), un centro fiori, un centro carni, una compagnia di assicurazioni (per la quale ebbi l’offerta di un grande gruppo assicurativo), quasi cinquanta farmacie o gestire gli affitti di centinaia di appartamenti residenziali. Sono attività che possono svolgere con maggiore efficienza i privati senza alcun danno per il pubblico, che invece in molti di questi settori è inefficiente e crea debiti. Ma serve una visione”.