Il provvedimento in discussione in seconda lettura nella Commissione Affari Costituzionali mira ad abbassare l’età anagrafica per l’elezione del Senato. Svolto un ciclo di audizioni sul testo (composto da un unico articolo), dopo l’approvazione della Camera lo scorso luglio
Nelle scorse settimane, nella Commissione Affari Costituzionali del Senato si sono susseguite le audizioni inerenti al Disegno di legge costituzionale 1440 “Modifica all’articolo 58 della Costituzione, in materia di elettorato per l’elezione del Senato della Repubblica”, già approvato il 31 luglio 2019, in prima lettura, dalla Camera dei deputati.
Si tratta di un provvedimento, composto da un unico articolo, che già questa estate aveva alimentato un acceso dibattito: il fine ultimo è quello di abbassare l’età anagrafica per l’elezione di Palazzo Madama dai 25 anni (attualmente previsti) ai 18, come già avviene per il rinnovo di Montecitorio.
Il Parlamento non è di certo nuovo a un tentativo del genere, dal momento che già nella IX Legislatura la “Commissione Bozzi” discusse una misura simile. In questo caso, come si evince dalla relazione illustrativa, il Disegno di legge muove, tra le altre cose, dal presupposto che in occasione delle ultime elezioni Politiche, i cittadini chiamati alle urne per l’elezione della Camera dei deputati siano stati 46.600.000 circa, a fronte dei circa 42.900.000 elettori per il Senato, con un differenziale dell’8% degli aventi diritto di voto in favore di Montecitorio. Secondo i relatori, si tratta di «una disparità consistente» che non è registrabile in alcuno degli altri Paesi europei con entrambe le Camere elette a suffragio universale diretto.
Tuttavia non si possono non menzionare due dati: il primo riguarda il fatto che la maggior parte dei grandi Stati del vecchio continente come Germania, Francia e Regno Unito ha ormai un sistema di elezione indiretta della seconda Camera. Il secondo dato rilevante è che, stando all’analisi del voto 2018 formulata dall’istituto IPSOS, circa il 35% dei diciottenni al primo voto avrebbe disertato le urne.
Dalle audizioni sul Ddl in discussione a Palazzo Madama, in particolare, è emerso che se è vero che la diversità anagrafica per l’elezione delle due Camere non si è mai rivelata uno strumento idoneo a diversificarne la composizione (come era invece auspicato dai Padri Costituenti), appare innegabile che il coinvolgimento dei più giovani nella vita politica del Paese non si possa incrementare limitandosi a modificare l’età elezione di una delle due Camere. Bisognerebbe invece pensare, in primo luogo, a fornire ai giovani una conoscenza idonea degli strumenti democratici fin dall’età scolastica e, in secondo luogo, la politica dovrebbe tornare a incentivarne e garantirne il coinvolgimento anche e soprattutto in fase pre-elettorale.
Tuttavia si deve anche considerare che, dopo il referendum del 4 dicembre 2016 che di fatto ha sancito la volontà dei cittadini di non rinunciare a un sistema bicamerale perfettamente paritario, continuare a mantenere questa differenza anagrafica fra gli elettori di Camera e Senato comporta sia una ingiustificata lesione del principio di uguaglianza sia, inevitabilmente, un innalzamento dell’età anagrafica dell’elettore medio, con la penalizzazione delle generazioni più giovani che possono compiere scelte più lungimiranti per il proprio futuro.
In definitiva, per quanto dall’eventuale approvazione del provvedimento non ci si potrà attendere un nuovo ‘ rinascimento’ per l’interesse politico dei più giovani, forse bisognerebbe riconoscere che è tanto scorretto voler togliere il voto agli anziani (come qualcuno sosteneva qualche mese fa) quanto privare coloro che hanno raggiunto la pienezza dei diritti civili e politici della possibilità di incidere significativamente sulla vita del Paese.