Che la “copertina” (non ce ne voglia Linus) per la manovra fosse striminzita lo si sapeva già dall’estate, ancora prima dell’avvicendamento tra i due Esecutivi Conte. Eppure in sede di discussione si è palesata la necessità, quasi vitale, per gli esponenti politici di tutelare orticelli vari e variopinti, ergersi a paladini di questa o quella categoria professionale, strattonando da ogni punto cardinale la “copertina” delle risorse a disposizione
Dapprima erano i balzelli anglofoni al centro del dibattito: sugar tax, plastic tax e in parte anche web tax si sono infatti contesi la scena del grande teatro della Legge di Bilancio nelle ultime settimane. Invettive delle forze di opposizione (ma a fasi alterne anche da quelle di maggioranza) e timori, più o meno leciti, da parte delle categorie produttive toccate direttamente o indirettamente dalle potenziali nuove tasse; il tutto condito da dubbi di Europa, Bankitalia, Ocse e varie compagini di economisti a volte noti, in altri casi debuttanti improvvisati, hanno dato ai lavori attorno alla Manovra il ritmo giusto da serie televisiva di gran successo.
Una serie che, forse per l’antropologica paura televisiva del calo degli ascolti, è scaduta spesso nei colpi di scena eclatanti tipici delle soap opera. Quel che è certo è che nell’agone politico nessuno ha pensato di fare un passo indietro – o anche solo di lato – anteponendo all’interesse individuale il bene del Paese, smettendo, anche solo per il tempo stretto dei lavori attorno a una delicatissima Legge di Bilancio, i panni dell’atleta professionista di campagna elettorale in versione endurance.
Che le coperture, “coperturine” per meglio dire, per la manovra erano strette e striminzite lo si sapeva già dall’estate, ancora prima dell’avvicendamento tra i due Esecutivi Conte.
Eppure in sede di discussione si è palesata la necessità, quasi vitale, per gli esponenti politici di tutelare orticelli vari e variopinti, ergersi a paladini di questa o quella categoria professionale, strattonando da ogni punto cardinale, la “copertina” delle risorse a disposizione.
Così si è arrivati in Commissione Bilancio del Senato a discutere del maxi emendamento che pareva scritto con l’inchiostro simpatico: pronto a cambiare ad ogni sguardo.
Tira di qua e tira di là e la plastic tax si è gonfiata di esenzioni, ha ridimensionato l’importo del prelievo ed è infine passata da un potenziale gettito di oltre 1 miliardo di euro a poco più di 150 milioni di euro. Sorte analoga per la sugar tax che, rinvio su rinvio, entrerà (forse) in vigore solo nel prossimo ottobre garantendo entrate nelle casse dello Stato per qualcosa come 175 milioni. E poi è saltata la revisione della detraibilità delle spese sanitarie, che prevedeva un ridimensionamento per i contribuenti con redditi superiori ai 120 mila euro annui e una totale esclusione per chi dichiara più di 240 mila euro annui. Troppe concessioni per una manovra pensata metà in deficit e per l’altra metà su ipotetiche entrate frutto di un mix tra lotta all’evasione fiscale e nuove tasse.
Le ultime puntate hanno così visto la new entry della “tassa sulla fortuna”, ovvero di un prelievo sulle vincite che passa dal 12% al 20% su tutti i giochi – eccetto il lotto, che insomma il vintage va tutelato -; una pallida Robin tax sui concessionari autostradali, aeroportuali, ferroviari e via così e infine la mancata proroga della cedolare secca al 21% sugli esercizi commerciali. Ancora troppo poco per una manovra che fatica a stare in piedi, figuriamoci a camminare e dunque correre.
E così, tra rassegnazione galoppante e idee da trovare a tutti i costi, tra le fila dell’Esecutivo ha rifatto capolino l’antica tentazione, l’azzardo sdoganato, la cambiale conosciuta che non genera poi così sdegno, il vizietto duro a morire: le clausole di salvaguardia.
Una decisione che evidenzia un paradosso indispensabile: la Legge di Bilancio 2020 serve al 70% per sterilizzare gli incrementi dell’IVA dovuti alle clausole di salvaguardia della scorsa Finanziaria, ma deve introdurre nuove clausole affinché essa stessa possa funzionare.
Da soap opera a teatro dell’assurdo di ionesca memoria il passo è più breve di quanto si pensi. Il subemendamento in Commissione Bilancio parla però molto chiaro: ritocco alle accise sui derivati del petrolio per 303 milioni di euro nel 2021 e conseguente aumento di benzina e gasolio, se le clausole non venissero disinnescate in qualche modo, di circa 1,2 miliardi sempre nel 2021. Ipoteche sui conti dello Stato che valgono anche per il 2022, con rincari potenziali sui carburanti di 1,6 miliardi e nel 2023, dove si sfiorerebbero aumenti per quasi 2 miliardi di euro. Senza dimenticarsi ovviamente delle altre clausole, quelle sull’IVA, che nel biennio 2021/22 potrebbero pesare per 30 miliardi di euro.
E pensare che tra economia sommersa ed evasione pura si potrebbero recuperare oltre 190 miliardi di euro, bastevoli per 5 o 6 finanziarie. Ma forse, che l’evasione fiscale sia un’indecenza, lo pensa ormai solo il Presidente Mattarella.