La seconda ondata del Covid ha colpito il mercato del lavoro italiano, nonostante sia attivo il blocco dei licenziamenti fino a fine marzo. A dicembre, dice infatti l’Istat nel suo ultimo aggiornamento sull’andamento dell’occupazione e della disoccupazione in Italia, tornano a calare gli occupati e si registra un incremento dei disoccupati e degli inattivi.
Il tasso di occupazione scende al 58,0% (-0,2 punti percentuali) e colpisce soprattutto le donne, senza risparmiare però tutti gli altri. L’unica eccezione è rappresentata dagli ultracinquantenni che mostrano una crescita. In termini più concreti quello che è accaduto è che rispetto a novembre 2020 a dicembre si sono persi 101 mila posti di lavoro e rispetto al dicembre di un anno prima la contrazione è stata di 444 mila unità ( – 1,9%).
Anche il tasso di disoccupazione, ovviamente, sale (ma in questo caso non è cosa positiva) e si attesta al 9%, sfiorando il 30% tra i più giovani (29,7%). L’altro dato in crescita (neanche questo da leggere con positività però) è quello del numero degli inattivi (cioè coloro che hanno perso le speranze e che hanno deciso di non cercarlo proprio più il lavoro): sono 42mila persone in più in questa condizione tra donne, 15-24enni e 35-49enni. In termini percentuali questo vuol dire che il tasso di inattività è ora al 36,1% (+0,1 punti).
Se poi si volge lo sguardo indietro, ad un anno fa, si vede che gli inattivi sono aumentati addirittura del 3,6%, ovvero di 482mila unità in termini assoluti. Eppure, come si diceva, c’è il blocco dei licenziamenti. Già, ma questo provvedimento non può certo evitare il mancato rinnovo dei contratti a termine scaduti o la fine di altre tipologie di collaborazioni.
E soprattutto il blocco dei licenziamenti non può evitare un altro fenomeno di cui sempre l’Istat ha dato conto il mese scorso ovvero la chiusura delle aziende e la non riapertura di molte di esse. Dal report emerge infatti che a fronte di un 68,9% di imprese in piena attività nonostante l’emergenza sanitaria da Covid, il 23,9% è parzialmente aperta e svolge la propria attività in condizioni limitate per spazi, orari e accesso della clientela, ma il 7,2% sono chiuse.
Parliamo di circa 73 mila aziende che pesano per il 4% dell’occupazione e che hanno dichiarato di essere chiuse. Ma ciò che più preoccupa è che di queste 73 mila imprese, 55 mila prevedono di riaprire e 17 mila no (l’1,7% delle imprese pari allo 0,9% degli occupati).
Dietro questi numeri si nasconde una “bomba sociale”, dicono i sindacati. La proposta per evitare la deflagrazione che arriva dalle Confederazioni, CGIL in primis, sarebbe quella di prorogare il blocco dei licenziamenti oltre il 31 marzo e di utilizzare il tempo a disposizione per riformare subito il sistema di protezioni sociali e per discutere e attuare un piano straordinario di investimenti per sostenere la creazione di nuova occupazione.
Ovviamente per fare tutto ciò c’è bisogno di un Governo, anche piuttosto solido. Speriamo che arrivi quindi, ma soprattutto speriamo non arrivi troppo tardi.