Il governo Draghi ha giurato nelle mani di Mattarella. Dal 1993 siamo al quindicesimo governo del presidente della Repubblica, scelto cioè direttamente dal Capo dello Stato. Nulla di strano visto che rientra nei poteri previsti all’art. 87 della Costituzione e che quella italiana è una Repubblica parlamentare. Ma dalla fine della Prima Repubblica alla fine della Seconda ci sono state delle eccezioni, a Costituzione invariata, con designazioni di capi dell’esecutivo su indicazione del corpo elettorale.
Tre volte accadde con Berlusconi e due con Prodi. Tutte le altre volte, compresa quella di questi giorni con Draghi premier, i governi nascono non dalle urne ma dal Colle.
Sono per lo più gli esecutivi di centrosinistra a nascere fuori dalle cabine elettorali. Con il settennato di Oscar Luigi Scalfaro, l’Italia ha avuto sei presidenti del Consiglio, quattro nati per partenogenesi partitica e governativa (Amato, Ciampi, Dini, D’Alema), due da elezioni (Berlusconi, Prodi). Con Ciampi al Quirinale, abbiamo avuto 4 premier, due scelti dal palazzo (D’Alema 1 e 2, Amato), uno da indicazione popolare, Berlusconi. Durante il lungo incarico di Napolitano, primo presidente della Repubblica a scavallare il settennato, abbiamo avuto 5 diversi inquilini di Palazzo Chigi. Due da elezioni, Prodi e Berlusconi (che durò un’intera legislatura, il più longevo) e 3 nati dalle scelte quirinalizie o, come nel caso di Monti, su pressioni delle diplomazie mondiali. Sempre tra i governi di centrosinistra da partenogenesi, si sono formati quelli di Letta, di Renzi e di Gentiloni.
Con Napolitano al Colle soltanto due governi nacquero su mandato popolare che, sempre a Costituzione invariata, dava la possibilità di indicare il capo della coalizione trovando i nomi del candidato premier sulla scheda elettorale, novità introdotta nel 1994. Una forzatura secondo eminenti costituzionalisti affezionati alla supremazia alchemica dei governi frutto di maggioranze parlamentari variabili e trasformiste.
Con il settennato di Mattarella, l’orchestra cambia ma la musica è la stessa. Nel 2018, il M5S stravince, ma l’indicazione del premier sulla scheda elettorale non c’è più, pertanto il presidente Mattarella segue quella del partito uscito vincente, i 5s, dando l’incarico a Conte che governa prima con la Lega e poi con il Pd. Il ruolo del presidente Mattarella in questo caso è stato diverso perché ha inciso non sulla scelta del premier quanto su quella dell’alleato, la Lega appunto, del maggiore partito della futura compagine governativa. Per la prima volta, e non sarà l’ultima, il centrodestra si spacca.
Dopo più di un anno, riecco la crisi. Salvini esce dalla maggioranza e invece di andare alle elezioni, Mattarella chiama il Pd. Nasce il Conte due grazie a un’altra partenogenosi: il gruppo di Italia Viva creato in seno al PD all’indomani delle elezioni. Nuova crisi, nuovo bivio per presidente della Repubblica, nuovo capo del governo scelto dal Quirinale. Mario Draghi, replica di Ciampi, anche lui dalla Banca d’Italia, anche lui premier.
All’ex capo della Bce mancano due cose per essere uguale a Carlo Azeglio. Diventare capo dello Stato, per dopo Mattarella si pensa a lui, e il voto della destra. La rotta verso il Quirinale è iniziata ma a differenza di Ciampi che fu votato anche dal centrodestra, è improbabile che avrà il voto dell’unica destra rimasta in Parlamento, Fdi.
Chi ancora qualifica come super partes i poteri del Capo dello Stato si è limitato alla solo lettura dell’articolo 87 della Costituzione senza averne fatto quella politica. Il presidente Mattarella ha giudicato inconciliabile pandemia e democrazia ma ha conciliato benissimo pandemia e democrazia parlamentare.
Ci troviamo dentro una crisi di sistema nella quale i partiti usano strumentalmente la democrazia parlamentare per garantire se stessi e le alterne fortune e sfortune dei governi in carica o in crisi. Questo sostanziale immobilismo, vivacizzato solo dal trasformismo delle maggioranze variabili, prive di legittimità popolare perché nate da scissioni post elettorali e partenogenesi parlamentari e governative è la causa dell’instabilità italiana.
Per sanare questo vulnus, hanno cambiato tutto: sistemi elettorali, riforme istituzionali (sistematicamente bocciate), taglio dei parlamentari. Tutto, tranne la vera riforma, quella dell’elezione diretta del Capo dello Stato. Trasformismi che non attengono solo più ai singoli parlamentari ma al sistema dei partiti in quanto tale.
Pd, Fi e Lega votarono insieme la legge elettorale, il Rosatellum. I 5stelle hanno governato con la Lega e con il Pd, da loro definito il partito di Bibbiano, e con il fondatore di Italia Viva, nonostante i ‘mai con Renzi’ all’indomani della vittoria del 2018, e i ‘mai più con Renzi’ non più tardi di due settimane fa; oggi vanno al governo anche con Forza Italia, l’acerrimo nemico antropologico il cui leader, Berlusconi, veniva chiamato ‘lo psiconano’ da Beppe Grillo. Oggi, al Quirinale i Ministri scelti da questi Partiti hanno giurato di essere fedeli alla Costituzione, il cui primo articolo, come tutti sanno, recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.