di Emanuele Peconi
È successo tutto così in fretta. Da un possibile Conte Ter ad un governo tecnico-politico-istituzionale che dir si voglia.
Dal Tweet di Matteo Renzi (“Bonafede, Mes, Scuola, Arcuri, vaccini, Alta Velocità, Anpal, reddito di cittadinanza. Su questo abbiamo registrato la rottura, non su altro. Prendiamo atto dei Niet dei colleghi della ex maggioranza. Ringraziamo il presidente Fico e ci affidiamo alla saggezza del Capo dello Stato”) si è arrivati ad un bivio politico e istituzionale a cui Mattarella ha risposto in modo lapalissianamente netto e deciso: Mario Draghi. L’ex Presidente della Banca Centrale Europea, il quale ha già ottenuto la fiducia, è stato l’asso nella manica di Mattarella, apparso vistosamente stranito a dover risolvere una crisi di governo nel mezzo di una crisi economica, sociale e soprattutto sanitaria.
Nel gergo pokeristico possiamo dire che Mattarella è andato “all in”, si è giocato la carta migliore del mazzo ed ora tocca ai partiti rispondere. La posta in gioco è elevatissima, c’è un Recovery Plan da presentare alla Commissione europea entro il 30 aprile e 209 miliardi da gestire per risolvere la crisi più grave dal dopoguerra ad oggi. A questo si aggiunge una campagna vaccinale che non è partita nel migliore dei modi. Insomma, la situazione è esplosiva.
Mattarella ha messo i partiti davanti ad un crocevia davvero importante: dire di no a Draghi sarebbe stato un suicidio di dimensioni incredibili, ma al tempo stesso c’è ancora la “faccia“ da difendere davanti ai propri elettori. Chi non ha esitato a tirarsi fuori è stata Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia: “Mario Draghi è autorevole, ma non basta”. Il Centrodestra appare così diviso, ma non è la prima volta che questo accade.
Intanto l’appello che bisogna fare ai partiti resta uno: andate oltre i tatticismi e i veti incrociati, l’Italia ha già perso troppo tempo e non può permettersi di perderne ancora.
Per uscire da questa crisi chi meglio di Mario Draghi? È altrettanto vero che non ha mai avuto esperienze politiche dirette come quella che sta per intraprendere, ma non va dimenticato che ha avuto oneri economico-finanziari in Europa di altissimo livello, gestendo tra l’altro i tassi di interesse ed altri strumenti monetari di 19 paesi dell’euro-zona.
Il periodo storico che stiamo vivendo ci vieta di ragionare a lungo termine, basti pensare al bollettino quotidiano sui dati Covid e sul numero di vaccinazioni che ancora vengono pubblicati e che noi consultiamo. Non serve a nulla ragionare in vista delle elezioni politiche del 2023, in due anni possono cambiare tante cose, tra cui l’idea che l’Europa non sia così malvagia come dicono.