Milioni di vite spezzate, tra morti ed esuli, distruzioni, lingua e cultura quasi cancellate e un Paese ridotto a meta turistica. La storia del Tibet, dal 1950 ad oggi, è quella di una nazione martoriata dall’ingombrante vicino cinese che ha occupato da 70 anni una nazione libera. Con Claudio Cardelli, presidente dell’associazione Italia-Tibet, ricordiamo un appuntamento molto importante: la manifestazione del 10 marzo in Viale Bruxelles 56 a Roma, organizzata dalla “Comunità tibetana Onlus” in occasione del 62simo anniversario dell’occupazione di Lhasa, con il supporto dell’associazione Italia-Tibet, fondata 33 anni or sono.
L’associazione Italia-Tibet, come ricorda il presidente Cardelli, “si propone di sostenere il lavoro del Dalai Lama, massima autorità religiosa del Tibet e del suo governo in esilio affinché al popolo tibetano venga riconosciuto il diritto all’autodeterminazione e gli siano garantite le fondamentali libertà civili”.
“Oggi in Tibet ci sono stati diversi cambiamenti drammatici in senso globale, infrastrutturale, sociale, religioso, culturale. I cinesi si rendono conto che in tanti anni di propaganda e lavaggio del cervello e violenze, non sono riusciti a cambiare l’animo di questi ‘montanari superstiziosi’. E quindi blindano il Tibet: nessuno può entrare o uscire”, aggiunge nel corso dell’intervista Claudio Cardelli.
“Nel 1987, poi, aprono il Tibet al turismo occidentale e cinese e inizia la fase della modernità, che significa snaturare completamente il Paese. Il governo cinese investe miliardi di dollari in Tibet per strade, ferrovie; Lhasa viene stravolta dal punto di vista urbanistico, viene distrutta la città vecchia, emblema di un mondo che i cinesi disprezzano, ritenuto arcaico e feudale, e vengono lasciati in piedi solo quei monumenti che possono essere un’attrattiva per i turisti, mentre i nomadi, ultimi tibetani ancora liberi, vengono deportati in massa in città-ghetto disumane”.
“Alcuni monasteri vengono restaurati per dare una parvenza di libertà religiosa che assolutamente non c’è. Al contempo inizia l’invasione di coloni cinesi sulla scia di quanto dichiarato da un funzionario cinese durante un convegno a Chendu: Noi sommergeremo, affogheremo i tibetani in un mare di han”.
Questa frase la dice lunga sulle strategie imperialiste dei cinesi. E, infatti, questo in qualche modo è avvenuto. In Tibet, conclude il presidente dell’associazione Italia-Tibet, “ora tutta la segnaletica è scritta in mandarino, la popolazione cinese è prevalente e i tibetani sono un po’ come i nativi americani, ghettizzati nelle riserve, ai margini della società. La lingua cinese è imposta, il tibetano viene boicottato, perché se ad un popolo togli la sua lingua, gli togli la vita. E questa è una delle tante operazioni che i cinesi stanno portando avanti scientificamente con molta determinazione”.