Dottoressa Torrisi, vado subito al dunque. Recentemente le donne del Pd hanno protestato contro il proprio partito che non ha voluto indicare nessuna donna come ministro. Il fatto in sé è grave ma forse l’aspetto più interessante è che le esponenti dem non abbiano esitato ad alzare la voce pubblicamente. È d’accordo?
Il Pd ha una donna presidente, ha avuto già due vicepresidenti donne, ha e ha avuto sottosegretarie donne, molte parlamentari e molte amministratrici, esiste anche una portavoce della Conferenza delle donne dem: dunque non credo ci sia un problema di rappresentanza. Piuttosto, a mio avviso, c’è un problema di sostanza, di peso, di capacità di incidere concretamente sui processi decisionali. Non è tanto quanti spazi occupi ma è come li occupi, che lettura dai a quello spazio, che te ne fai e che battaglie porti. Forse di tutte le donne dem del recente passato quella che più di tutte si ricorda è Monica Cirinnà perché ha impegnato il suo spazio in una battaglia seria e puntuale, i diritti di ogni genere, portando a casa risultati concreti, le unioni tra persone dello stesso genere.
Non mi sembra di aver letto dichiarazioni di solidarietà da parte del centrodestra. Questo che cosa vuol dire?
I partiti sono strutture patriarcali semplicemente perché agiscono ancora per cooptazione che è e resta un meccanismo patriarcale, ovvero serve a mantenere il potere che invariabilmente nella nostra società è maschile. Quando società e dunque anche i partiti si apriranno di più e decisamente al merito allora forse per le donne ci sarà più spazio: il merito è trasversale e non ha altro fine se non quello di favorire i migliori. Il merito non guarda in faccia al genere.
Cambiamo settore, lei è responsabile dell’Ansa per il Lazio (sbaglio o è la prima in assoluto…). Anche in comunicazione, dunque, la donna deve dimostrare di essere più brava dell’uomo per raggiungere posti dirigenziali?
Semplicemente io credo che chi ha un ruolo dirigenziale dovrebbe dimostrare, prima, di meritarselo, e questo indipendentemente dal genere. Non nascondo comunque che in un mondo maschile e di capi maschi pregiudizi e resistenze ci sono. In Ansa abbiamo e abbiamo avuto donne con ruoli di responsabilità e negli anni sono aumentate. Premiando il merito le donne hanno avuto, naturalmente, più spazio e nei settori più disparati: dalla cultura agli esteri fino alla cronaca abbiamo vice e capi strutture donne. Economia e politica vedono un gran numero di ottime professioniste, un po’ meno di quadri, e questo fa riflettere.
Davvero non abbiamo bisogno delle quote rosa o anche per lei sono il minore dei mali?
Le quote rosa gestite da un potere maschile a cosa servono ? In una struttura fatta e decisa dagli uomini le quote rosa rischiano di essere solo un alibi. Io sono molto scettica sulle quote rosa perché le percentuali non possono sostituire il merito. E la rivoluzione in questo senso la si fa favorendo il merito. Su questo non ho dubbi: sul merito spesso le donne sono imbattibili. Per tutta una serie di questioni culturali e antropologiche che non sto qui ad elencare. E anche perché avendo il potere maschile per secoli favorito i maschi non sempre ha mandato avanti i migliori.
Ci dica la verità: quando controlla i pezzi dei suoi collaboratori, sono più precise le donne o gli uomini?
In realtà questo è un luogo comune. Io non tengo conto affatto del genere. Faccio un esempio: ha presente la notizia del cimitero dei feti, quell’agghiacciante sistema burocratico denunciato a Roma da una donna che si è vista il suo nome sulla croce che indicava il luogo della sepoltura del suo feto? Ecco: leggo il post della donna, incarico una collega (donna) di occuparsene e lei mi scrive 10 righe striminzite. A quel punto affido tutto ad un collega (uomo) e lui intuisce la tragica assurdità di quella notizia e la approfondisce. Lo fa per giorni e giorni finchè non finisce sui giornali. Insomma il genere non c’entra nulla e non è sempre garanzia di particolare intuito e sensibilità.