Violenza, retribuzione inferiore, meno possibilità di carriera a parità di competenze, insulti, linguaggio di odio, esclusione dai ruoli decisionali: sono solo alcuni dei gravi problemi che, ancora oggi, caratterizzano nei vari livelli (sociale, familiare, lavorativo, politico, ecc.) il rapporto tra uomo e donna.
Un disequilibrio di genere concreto e pervasivo frutto di un retaggio culturale arcaico e, a quanto pare, duro a morire.
Duro a morire perché di quanto questo disequilibrio incida sulla vita di tutti, anche in termini economici, se ne parla da tanto e oggi, come non mai, a chiare lettere. Ma i problemi continuano ad esistere e i dati a disposizione ci confermano quanto essi siano gravi e drammatici (si pensi all’altissimo numero di femminicidi nel nostro Paese).
A livello internazionale il “gender gap” (letteralmente divario di genere) è l’espressione con la quale si definisce la situazione di inferiorità in cui è relegata la donna nei vari ambiti in cui esplica la sua personalità. Che sia la famiglia, il lavoro o, più in generale, il contesto sociale, la donna parte sempre da una posizione di svantaggio.
La Commissione e il Parlamento Europeo stanno dedicando molta attenzione al tema (il 4 marzo scorso, tanto per citare uno degli ultimi provvedimenti, la Commissione ha presentato una proposta di direttiva per abbattere le diseguaglianze di genere sul posto di lavoro) anche in vista del G20 italiano. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano prevede un’attuazione “…nella prospettiva delle donne, dei giovani e del Sud..” evidenziando che ciò “…non è solo un atto di giustizia, ma è la leva essenziale per attivare il potenziale di sviluppo per l’Italia, per ripensare le infrastrutture sociali e la macchina pubblica…”. La parità di genere, quindi, sembra essere un obiettivo nazionale ed europeo.
La strada è ancora lunga ed è fondamentale che la società civile monitori questi processi di cambiamento fornendo il proprio supporto qualificato e le proprie opinioni.
Ed è proprio in quest’ottica che la Sezione di Roma dell’Associazione Donne Giuriste (in acronimo ADGI) ha lanciato una campagna per chiedere al Governo di intervenire introducendo una “regola giuridica generale” applicabile in tutti i contesti.
Quindi un Progetto non legato a singoli aspetti (es. bonus per baby sitter, incentivo imprenditorialità femminile; bonus ad personam; ecc), ma di “sistema”.
La Proposta dell’ADGI della Sezione di Roma ha anticipato di qualche mese l’attuale proposta di direttiva della Commissione Europea sulla trasparenza per il superamento delle diseguaglianze sul posto di lavoro e prevede, in sostanza, di rendere obbligatori nelle certificazioni ISO normate a livello Comunitario e Nazionale, l’obbligatorietà di indicatori di genere specifici (https://adgi-roma.it/post/88/la-violenza-sulle-donne-si-combatte-anche-con-il-superamento-delle-diseguaglianze-economiche).
Vogliamo inoltre un Progetto che favorisca la Famiglia come valore neutro, che premi il genitore maggiormente impegnato nel lavoro e nella professione, indipendentemente dal reddito. Devono essere adottate misure per la conciliazione di esigenze di cura, di vita e di lavoro.
Sul punto la Proposta dell’ADGI della Sezione di Roma (https://adgi-roma.it/post/88/la-violenza-sulle-donne-si-combatte-anche-con-il-superamento-delle-diseguaglianze-economiche) è quella di prevedere la detrazione fiscale dell’importo totale delle spese per i figli a carico, la riduzione delle imposte del 50% per il genitore che provvede da solo al mantenimento dei figli a carico, istituire un incentivo per le madri e i padri che tornano al lavoro dopo aver avuto un figlio, con un premio fino al 50% del salario fino ai tre anni di vita del figlio. In tutti casi, a prescindere dal reddito del genitore; erogare bonus alle aziende in caso di concessione del prolungamento del congedo parentale.
Sono proposte concrete che aiuterebbero le donne ad uscire da una condizione di svantaggio economico, diseguaglianza economica e sociale. Soprattutto sono misure che mirano al progresso economico del Paese come ci impone il piano europeo per l’utilizzo del Recovery Fund.