Nuovi equilibri domestici da ricomporre, concreto rischio di aumento delle disuguaglianze economiche e di genere, scarsa formazione, minaccia di “tecnostress”, preoccupazione per la riservatezza dei dati e dei possibili controlli del datore di lavoro: sono queste alcune delle risultanze emerse dalla ricerca promossa dal Centro Studi Corrado Rossitto riguardante il primo anno di lavoro agile “di massa”, argomento posto prepotentemente al centro del dibattito dalla recente pandemia.
Lo studio sarà presentato online martedì 16 marzo 2021 all’interno della tavola rotonda intitolata “Il lavoro agile: misura di emergenza o nuova forma di flessibilità?”, momento dedicato all’analisi e al confronto sui cambiamenti nel mondo delle professioni introdotti dall’emergenza sanitaria.
L’evento, promosso dall’Ordine degli Avvocati di Roma e dal Centro Studi Corrado Rossitto, vedrà la partecipazione di Riccardo Bolognesi (giuslavorista e Consigliere dell’Ordine degli avvocati di Roma), Alberto Tarlao (Segretario del Centro Studi Rossitto di CIU-Unionquadri), Fabio Petracci (Presidente del Centro Studi Corrado Rossitto) e Gabriella Àncora (Presidente di CIU-Unionquadri).
Lo studio, realizzato da un team di esperti del settore, muove le premesse dalla legge 81/2017, provvedimento che ha introdotto la modalità di lavoro agile (o “smart working”) all’interno dell’ordinamento e, con l’arrivo dell’emergenza sanitaria, ne ha rapidamente imposto l’applicazione su larga scala. Nato come semplice strumento di diversificazione logistica della prestazione lavorativa, in breve tempo tale istituto si è colorato di tinte nuove, uscendo dal suo alveo tradizionalmente privato e abbracciando ampi settori del pubblico impiego, imponendosi all’attualità del dibattito grazie ad una legislazione di emergenza che ne ha favorito l’applicazione anche in deroga alle originarie previsioni normative.
L’indagine, oltre a ricostruire la genesi e l’impianto normativo del lavoro agile, si sofferma sulle risultanze di un sondaggio somministrato ad un pubblico molto eterogeneo (dipendenti pubblici, lavoratori di imprese medio-piccole ecc..), e i cui risultati non sono stati affatto scontati, soprattutto in relazione alle criticità emerse da questa nuova fenomenologia: un elemento negativo denunciato, ad esempio, è stata l’assenza di un’adeguata formazione (e informazione) sul corretto utilizzo degli strumenti di lavoro, con la gran parte dei lavoratori che si è improvvisamente ritrovata a dover lavorare da casa senza però ricevere preventive istruzioni o comunicazione alcuna.
Altro elemento in sofferenza sono risultati essere i rischi relativi alla riservatezza dei dati aziendali derivanti dallo svolgimento di attività lavorativa con le modalità proprie del lavoro agile. Non sempre, infatti, gli strumenti informatici per uso domestico hanno le stesse misure di sicurezza previste invece all’interno dell’azienda, cosa che potrebbe mettere a rischio il patrimonio informativo aziendale. Ma gli interrogativi più delicati attengono, per gran parte degli intervistati, riguardo ai possibili controlli (necessariamente a distanza) del datore di lavoro, insieme alla tutela dei dati personali del lavoratore.
Ulteriore elemento di riflessione emerso dallo studio quello relativo al possibile divario della forbice sociale all’interno delle aziende. In tale ambito (e come facilmente intuibile) l’esperimento del lavoro agile emergenziale ha confermato che le mansioni che possono essere svolte con maggior facilità senza la necessaria presenza fisica in azienda risultano essere quelle di natura direttiva, amministrativa e, in generale, quelle attribuite a lavoratori più qualificati e meglio retribuiti, palesando in tal modo il concreto il rischio che l’applicazione dello smart working possa fungere da detonatore per acuire ulteriormente le disuguaglianze di reddito e di benessere aziendale.
“Ad un anno ormai dall’applicazione massiva di questo strumento, il bilancio che emerge dallo studio è senza dubbio quello di un sovvertimento dei canoni tradizionali del rapporto di lavoro, un mosaico composito dove, accanto a indubbi benefici in termini di liberazione di energie in favore dell’economia con un superamento della tradizionale contrapposizione tra famiglia, vita privata e lavoro, emergono delle zone d’ombra che, se non curate, potrebbero causare serie conseguenze in termini di conflitti” ha dichiarato Gabriella Àncora, Presidente di CIU-Unionquadri, la più grande associazione di categoria che rappresenta il middle management – quadri – e le professioni intellettuali.
“Una maggiore libertà di organizzazione e di impostazione del proprio lavoro può giovare anche a quelle professionalità che antepongono la creatività, lo studio e la ricerca al lavoro istituzionalizzato dall’azienda. Mi riferisco ai Quadri per la cui organizzazione è stata svolta la presente ricerca, ma anche ai ricercatori, ai professionisti dipendenti ed a tutte quelle categorie che, seppure subordinate, portino nel loro DNA le caratteristiche dell’impresa e della libera professione”.