Un’eguaglianza di posizioni e di trattamento unico nei vari Stati che compongono l’Unione Europea non si è mai raggiunta ma forse non è neppure stata mai volutamente ricercata. Vi sono, infatti, alcuni Stati che attuano politiche interne fiscali molto vantaggiose al fine di attirare sul proprio territorio investitori e gli interventi dell’Unione Europea se sono riusciti in qualche modo ad armonizzare la tassazione dei consumi e della raccolta di capitali certamente poco o niente è stato fatto in merito alla tassazione dei redditi soprattutto per le società di capitali.
Basti ricordare che in Irlanda, Ungheria ed a Cipro l’aliquota di tassazione delle società è pari rispettivamente al 9%, in Ungheria ed al 13% in Irlanda ed a Cipro mentre in Italia, Francia e Germania si spazia tra il 28%, 30% e 34% senza peraltro dimenticare che molte aziende multinazionali riescono a trattare con i singoli stati ed avere anche un trattamento fiscale migliore per un certo periodo.
L’Unione Europea quale tentativo di portare ad una corretta unificazione per tutte le tasse è intervenuta nel 2019 con propria direttiva contro l’elusione tendente ad equiparare la base imponibile della tassazione per le società ed ogni Stato è intervenuto al suo interno con proprie leggi per il giusto adeguamento alla direttiva ma i risultati, ancora oggi, non sono nè positivi nè immediati.
Se poi si vanno ad esaminare e confrontare le pressioni fiscali sul reddito delle persone fisiche nei diversi Stati dell’Unione si troveranno diverse e sostanziali differenze. La pressione fiscale in Danimarca raggiunge il 47,6%, segue la Francia con il 47,3%, il Belgio con il 45,5%, la Svezia con il 43,5%, l’Austria con il 42,9%, l’Italia col 42,4% per poi seguire il 41,6% della Germania, e del 35,2% della Spagna.
E’ pur vero che i fattori incidenti e le scelte dei singoli Stati Europei in ordine alle aliquote da applicarsi sui diversi redditi hanno anche altri fattori incidenti con cui confrontarsi, come ad esempio il PIL, la spesa delle importazioni, i servizi offerti, i costi a sostenersi per l’intera spesa pubblica, ma è pur vero che una più consona e reale armonizzazione della tassazione all’interno dell’Unione Europea creerebbe realmente un mercato unico e le allocazioni delle imprese sarebbero dettate dalle vere motivazioni economiche e non dal vantaggio che ne deriva dalla tassazione locale.
I vari sistemi fiscali adottati dai diversi stati membri non sono solo l’espressione della percentuale applicabile sugli imponibili ma risentono altresì di altri fattori quali la certezza della normativa applicabile in caso di errori, di elusione ed evasione, le modalità di accertamento da parte dei singoli Stati, l’entità delle sanzioni che deriverebbero su quanto eventualmente accertato, la funzionalità e terziarietà degli Organi decidenti in caso di controversie. A quanti sicuramente conoscono, anche a grandi linee, ciò che è l’attuale legislazione fiscale in Italia ed il funzionamento degli organi preposti al controllo basti sapere che in nessuno degli altri Stati membri l’organizzazione è così burocratizzata, farraginosa e le previste sanzioni sono oltremodo esuberanti rispetto anche all’accertato. Se ciò poi sia un bene o un male nella lotta all’evasione ed all’elusione in dipendenza delle aliquote esistenti attualmente in Italia lo scopriremo solo vivendo.
Il fenomeno e lo scenario possibile, nel trattare l’argomento, ritengo che ci porti conseguentemente a pensare alle reali ricadute che vanno ad incrementare e tener in vita l’evasione fiscale o l’elusione. Le possibili giustificazioni di ogni singolo verterebbero sull’esame del proprio status e sulla ricerca di ogni possibile giustificazione di vita che hanno indotto lo stesso ad accettare, quale peccato veniale, un proprio comportamento elusivo e di evasione.
La certezza del diritto e l’applicazione intrinseca e giusta del dettato dell’articolo 53 della nostra Costituzione che sancisce: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”, non deve essere dimenticato nè ritenuto meramente un “assioma” ma andrebbe commisurato e comparato per intervenute leggi che da tale principio traggono origine.
Il principio per cui tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione delle proprie capacità contributive e che il sistema tributario debba poi essere informato a criteri di progressività dovrebbe trovare una più consona applicazione nella concretizzazione attuale dei concetti di “capacità contributiva” e di “progressività”. Se li raffrontiamo, almeno per il nostro Paese, alle aliquote applicabili sui redditi, alle sanzioni che accompagnano le norme, alle entità delle imposte e tasse presenti ne è forse scaturito anche un incremento dell’evasione e dell’elusione che, non considerando le singole motivazioni adducibili per quanti ritengono “i propri peccati veniali”, forse, dico forse, le motivazioni siano altre e più che altro non motivazioni ma conseguenze dell’impossibilità a versare ogni relativa tassa e tributo.
E’ vero tecnicamente che se si produce un reddito, sullo stesso, piccolo o grande che sia, le imposte debbono essere pagate e nascono “come obbligo” nel momento stesso della percezione del reddito stesso ma è anche vero che il reddito è sostanzialmente un ingresso di danaro, quale bene fungibile, nelle casse del contribuente e l’utilizzo da parte dello stesso è molte volte fatto in dipendenza della soddisfazione dei primari bisogni dando all’utilizzo stesso del citato denaro una propria priorità. Tutto ciò non potrà mai assurgere a giustificazione, ancorché sia da comprendere, ma costituirà di fronte al fisco “una pura evasione”. Forse c’è anche da chiedersi, se le aliquote in atto vadano a contribuire a tale fenomeno.
*Studio Viglione-Libretti & Partners