Con il ritorno di Enrico Letta alla guida del PD, si riparla della possibilità di abbassare l’età minima per votare a sedici anni, idea del neo segretario già espressa pubblicamente da molto tempo.
Si tratta a dire il vero di un tema non di sua esclusiva, anzi periodicamente riproposto da varie forze politiche: la stessa proposta è stata avanzata nel 2007 da Walter Veltroni, nel 2015 dalla Lega e da diversi anni nel Movimento 5 Stelle si parla di abbassare il limite addirittura a 14 anni.
Una questione, dunque, trasversale e sempre più attuale, che qualcuno ricollega a calcoli di bottega elettorale.
In realtà, è un tema assai più serio di quello che può sembrare, se si considera che il diritto di elettorato attivo, cioè la possibilità di votare i propri rappresentanti in Parlamento (e indirettamente al Governo) è l’espressione più vistosa e importante dei diritti politici di un cittadino e caratterizza la sua essenza di componente della società cui appartiene.
Inoltre, l’età per votare è quasi ovunque agganciata all’esercizio di una serie di diritti e poteri normalmente inibiti ai bambini e ai ragazzi, perché è opinione comune che per il loro esercizio è richiesta maturità di pensiero e capacità di comprendere bene le conseguenze di ciò che si fa.
In altre parole, si discute nientemeno che del momento di passaggio alla vita adulta, momento che da sempre appartiene all’uomo e fa parte, si può dire, dei suoi concetti ancestrali.
Non esiste cultura che non prevede un rito di iniziazione al mondo dei “grandi”, una cerimonia o un passaggio formale dallo scenario dorato dell’infanzia a quello, gravido di responsabilità ma anche di aspettative e possibilità, dei “grandi”.
In passato, si trattava di riti difficili e anche cruenti, con prove fisiche e di coraggio volte a dimostrare che il giovane aspirante membro della società era degno di cavarsela da solo e senza più l’ombrello della famiglia nel vasto mondo.
Gli Spartani, popolo descritto nei libri di storia come simbolo di una severità di costumi sconfinante a volte nelle sevizie di Stato, esisteva la cripteia, rito che prevedeva che i giovani venissero abbandonati nelle campagne, disarmati, perché imparassero a sopravvivere senza alcun aiuto, dando agli stessi una sorta di licenza di commettere reati di vario tipo, dal furto di alimenti e armi all’omicidio degli appartenenti alla casta inferiore degli iloti.
Dopodiché, rotti al crimine e all’omicidio, erano festosamente ri-accolti in società.
Nel tempo questi riti sono divenuti meno violenti, e attualmente il passaggio è sancito da una festa con amici, condita da piccole trasgressioni a cui peraltro i ragazzi sono avvezzi già da diverso tempo prima.
Anzi, in tempo di Covid anche questa abitudine è sospesa, come tutto il resto, e il passaggio si limita ad una torta con candeline spente in famiglia e irrinunciabile video inviato sui social…. Ma vabbè.
In assenza di prove o di fattori fisici ormai relegati al passato (l’acquisizione della capacità di procreare, oggi spetta alla legge spetta il difficile compito di tracciare una linea convenzionale tra i due mondi, stabilendo in astratto e per tutti che dall’aver vissuto un certo numero di anni discenda “automaticamente” il raggiungimento della maturità necessaria per essere considerati “grandi”.
Come tutti i criteri astratti e matematici applicati alle questioni umane, è ampiamente approssimativo e più che discutibile, ma a quanto pare non ne esiste uno migliore.
In quasi tutti gli ordinamenti nazionali, questo limite è fissato al compimento del diciottesimo anno di età.
In Italia, secondo quanto dispone la nostra Carta Costituzionale, sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Per eleggere i deputati della Camera, per votare ai referendum abrogativi, bisogna essere, a norma di legge, adulti.
Adulto, o appunto “maggiorenne”, è chi ha compiuto diciotto anni di età: in questo giorno magico, si acquista del resto non solo la improvvisa capacità di discernere tra la miriade di partiti e partitini quello dalle idee politiche più simili alle nostre e che dunque ci fidiamo a mandare in Parlamento a rappresentarci, ma un bel po’ di altri “superpoteri”.
Tra questi, la capacità di firmare contratti, di guidare la macchina (anche se ultimamente questo diritto si è ridotto alla guida di autovetture di piccola cilindrata).
Nello stesso, magico giorno, cessa invece, almeno in teoria, la responsabilità dei genitori, nel senso che questi non saranno più chiamati a rispondere giuridicamente dei guai combinati dai loro pargoli (economicamente, si sa, è un altro discorso, essendo rarissimi i ragazzi di quell’età che si mantengono da soli).
Più o meno a quella età nel mondo della scuola, il più importante ambito sociale dei ragazzi, arriva il mitico “esame di maturità”, la cosa più vicina oggi rimasta al giudizio degli adulti sulla idoneità a far parte del loro esclusivo club.
Non è però un limite che vale per tutte le scelte importanti; in altri campi il limite dei sedici anni caro a Letta e agli altri politici esiste già.
Curiosamente, infatti, a sedici anni ci si può sposare e se questo succede si acquista anche la capacità di agire, cioè quella serie di diritti (contratti, ecc) per i quali normalmente la legge richiede il compimento dei diciotto anni.
In teoria, è una regola ragionevole: se un sedicenne si sposa e mette su famiglia, è davvero implausibile pensare che per qualsiasi firma debbano intervenire i suoi genitori…
In pratica, a ben pensarci, si crea un effetto paradossale: un ragazzo (o una ragazza, naturalmente) di sedici anni viene considerato dalla legge pari a un adulto, solo perché è convolato a nozze, mentre i suoi compagni di classe celibi/nubili sono tutti ancora giuridicamente come dei bambini….. è proprio vero che il matrimonio fa invecchiare giovani!
Dimenticavo: il nostro giovanissimo coniugato, oltre a tutti questi bei diritti in anticipo, riceve anche il titolo ufficiale di “emancipato”, nome che ha una serissima spiegazione che affonda le radici nel diritto romano (spiegazione che naturalmente vi risparmio) ma che nella mente di tutti – o forse solo di chi ha una certa età, essendo un termine un po’ desueto – fa venire in mente mentalità particolarmente aperte e costumi disinibiti…
Passando ad argomenti più seri, non è vero invece, come spesso si crede, che fino alla maggiore età non si risponde degli eventuali reati commessi: il diritto penale pone il limite della incapacità di intendere e di volere necessaria per la responsabilità penale dei propri atti a quattordici anni.
Per i minorenni accusati di reato vi è però un processo speciale (davanti al Tribunale per i minorenni), con regole meno ispirate ad una finalità punitiva e maggiormente incline al reinserimento sociale ed al perdono.
Si può andare in carcere, ma vi sono istituti penitenziari riservati per evitare che i giovanissimi dividano questa esperienza traumatica con soggetti adulti.
Per altro verso, si tende ad una maggiore applicazione della sospensione della pena e dell’affidamento ai servizi sociali (e dunque in caso di condanna non la si sconta con la privazione della libertà) se il condannato ha meno di ventuno anni.
Insomma, il limite della maggiore età, oltre che arbitrario, è un po’ ballerino, con il risultato che i nostri ragazzi sono considerati perfettamente formati per fare certe cose e ancora bambini per altre, senza che a volte sia pienamente comprensibile il criterio… ma la legge, si sa, è materia a volte oscura.
E’ impossibile dunque dire se la proposta di abbassare il limite di voto a sedici anni risponda a criteri di razionalità o no.
E’ indubbio che in quella fascia di età si è in genere più idealisti e sensibili a temi come l’ambiente (e non a caso il testimonial mondiale più famoso di questi temi è una ragazzina ancora lontana dall’avere acquisito legalmente il diritto di voto) e allora viene la tentazione di affidare le leve del mondo a chi non ha ancora subito il peso degli anni e il disincanto che negli anni si accumula nell’animo di tutti.
C’è poi chi sostiene, non a torto, che occorre riequilibrare un elettorato sempre più vecchio, ricordando che l’Italia detiene il triste primato di nazione più vecchia al mondo: dare voce anche ai più giovani prima che i temi e l’attenzione dei politici si sbilanci eccessivamente su tematiche sentite come prioritarie solo per chi ha vissuto tanti anni, a svantaggio di quelle che guardano al futuro.
D’atra parte, si argomenta ancora, i sedicenni di oggi non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli di una volta: più informati, più maturi e consapevoli, iperconnessi e velocissimi, hanno ormai da tempo abbandonato il solipsismo tipico dell’infanzia e sono pronti a dire la loro.
Chissà se è davvero così, viene da ribattere guardando alle ultime generazioni, iperconnesse sì ma spesso con il proprio ombelico, rappresentato da quel cellulare da cui apprendono a velocità estrema una miriade di informazioni sempre più superficiali e paradossalmente sempre meno rivolte al sociale.
Ecco perché a gli argomenti favorevoli alla proposta se ne contrappongono altri che pure sembrano ragionevoli: si rischia di dare diritto di voto a una miriade di bambinoni più incapaci dei loro coetanei del passato a cavarsela da soli, portatori per la maggior parte di un totale disinteresse per le questioni politiche e sociali.
In sostanza, si discute di attribuire un diritto a una categoria di soggetti che questo diritto non hanno mai reclamato, semplicemente perché non hanno interesse ad esercitarlo…. Anche se, per altro verso, riesce difficile credere che questo interesse sorga magicamente il giorno del diciottesimo compleanno.
Senza contare l’obiezione, solo apparentemente tecnica, di chi afferma che sarebbe un po’ strano dare ai sedicenni la possibilità di eleggere qualcuno ma non di essere eletti, visto che l’età minima per essere deputati rimarrebbe comunque diciotto anni.
Insomma, io non vorrei essere nei panni dei politici, chiamati a decidere se mettere mano a un criterio arbitrario e sfuggente, mosso da motivazioni – da una parte e dall’altra – altrettanto arbitrarie, un tema talmente delicato e complesso che la verità sfugge e si rischia di fare guai qualsiasi cosa si decida.