ll 13 aprile la Federazione Fipe-Confcommercio, Federazione italiana dei Pubblici Esercizi, è scesa in piazza a Roma per chiedere direttamente al governo, e alla politica in generale, un impegno preciso: una data della ripartenza e un piano per farlo in sicurezza. “Il combinato di incertezza e mancanza di prospettive fa male quasi più delle chiusure. La situazione è complessa, ma senza prospettive certe e credibili si finisce nel caos”, ha detto il Presidente Lino Enrico Stoppani.
A poco meno di 6 mesi dalla manifestazione #SiamoATerra che ha visto la partecipazione di migliaia di imprenditori in 24 diverse città italiane, Fipe-Confcommercio, è tornata quindi in piazza per dare coralmente volto e voce all’esasperazione di un settore in ginocchio. L’Assemblea Straordinaria della Federazione convocata per il 13 aprile rappresenta “una forma di protesta ordinata e costruttiva, coerente con lo stile di una Federazione che ha sempre cercato un confronto con le istituzioni, rifuggendo populismi, polemiche e strumentalizzazioni e che oggi vuole dare un altro segnale forte”.
“Da mesi FIPE diffonde incessantemente la voce e i bisogni delle imprese del settore sui media, presso le istituzioni e sui territori – prosegue Stoppani – sentiamo però la responsabilità di dare un segnale forte e pubblico davanti all’ultimo decreto del Governo che rinvia nuovamente la riapertura dei ristoranti e dei bar ad eventuali decisioni del Consiglio dei Ministri”.
Con le Ordinanze del 9 aprile 2021, in vigore dal 12 aprile 2021, il Ministero della Salute ha disposto, fino al prossimo 26 aprile, la collocazione in zona rossa della Regione Sardegna mentre ha previsto il passaggio in zona arancione delle Regioni Calabria, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte e Toscana. Di conseguenza, soltanto con riferimento a queste ultime Regioni, cessano di avere efficacia le misure previste dall’Ordinanza del 2 aprile 2021, in scadenza al 20 aprile 2021, che invece continuano a trovare applicazione per Campania, Puglia e Valle d’Aosta, che si mantengono, quindi, in zona rossa.
Ai sensi del D.L. n. 44/2021, dal 7 al 30 aprile 2021, è prorogata l’efficacia delle disposizioni di cui al DPCM del 2 marzo 2021 e ai territori che si trovano in zona gialla si applicano le misure previste per la zona arancione, con possibilità di derogare a quest’ultima disposizione per mezzo di Delibera del Consiglio dei Ministri.
Pertanto, allo stato attuale, la situazione a livello nazionale è la seguente: in zona arancione Abruzzo, Basilicata, Bolzano, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Sicilia, Toscana, Trento, Umbria e Veneto; mentre in zona rossa Campania, Puglia, Sardegna e Valle d’Aosta. Per quel che riguarda le imprese del comparto dei pubblici esercizi, il regime restrittivo applicabile è il medesimo sia in zona rossa che in zona arancione.
Il quarto trimestre 2020 ha registrato, secondo i dati diffusi da Fipe, una contrazione del fatturato della ristorazione pari a -44,3% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Il periodo si conferma come un vero e proprio secondo lockdown per le imprese del settore portando l’intero anno ad una perdita complessiva del 36,2 % pari a 34,4 miliardi di euro.
I contributi a fondo perduto ricevuti tra il 2020 e il 2021 dai titolari di bar e ristoranti sono stati ritenuti poco o per nulla efficaci dall’89,2% degli imprenditori, con 8 titolari su 10 che si sono visti ristorare il 10% circa di quanto perso lo scorso anno. Per questo motivo gli esercenti auspicano che se ne tenga conto nel momento in cui si andranno a definire le modalità di erogazione dei sostegni che verranno distribuiti in seguito al prossimo scostamento di bilancio, annunciato in 20 miliardi di euro.
“Tra 2020 e 2021 i bar e ristoranti sono rimasti chiusi per circa 200 giorni”, sottolinea Roberto Calugi, Direttore generale di Fipe-Confcommercio. “Pur essendo consapevoli dello sforzo enorme fatto dal precedente governo per dare risposte ai titolari dei Pubblici esercizi, in una situazione di pandemia, gli esercenti lamentano il fatto che le misure non sono state minimamente sufficienti e dunque sarebbe opportuno intervenire sulla riduzione di alcune tasse come la Tari che andrebbe azzerata o dimezzata, visto che i locali chiusi non hanno usufruito di alcun servizio di raccolta rifiuti”.