Gli esperti l’hanno definita “sindemia”, ovvero una pandemia che per i suoi effetti non solo sulla salute, ma anche sulle abitudini sociali e di vita quotidiana, sta agendo da moltiplicatore senza precedenti del malessere psichico. Parliamo di manifestazioni di ansia, disturbi post-traumatico da stress, depressione, fobie. “La pandemia ha amplificato e intensificato gli aspetti patologici di tutti; c’è stata quindi un’estremizzazione di qualsiasi sfumatura psicopatologica”. Spiega a LabParlamento la dott.ssa Daniela Ruggiero, psicologa e psicoterapeuta responsabile delle attività di riabilitazione presso Colle Cesarano, Struttura Residenziale Psichiatrica, alle porte di Roma.
Dottoressa Ruggiero questo anno e mezzo di pandemia ha sconvolto le nostre esistenze. Qual è stato l’impatto psicologico sulle persone?
Per chi già soffre di disagio mentale, è accaduto che i percorsi di cura proposti hanno subito una completa stasi: nella nostra struttura abbiamo come mission il lavoro sull’autonomia, sull’emancipazione dell’individuo, la collaborazione con il territorio che si traduce di uscite di gruppo, visite culturali, escursioni, attività sportive. Tutto questo si è, per cause di forza maggiori, improvvisamente bloccato.
Una situazione che ha interrotto un processo di riabilitazione dei pazienti.
Tutto quello che doveva comportare il nostro intervento per l’evoluzione di una persona si è congelato. Tutte le piccole conquiste fatte dai nostri pazienti, che potevano essere anche solo fare delle piccole commissioni o uscite fuori dalla struttura, come andare alle Poste o a mangiare una pizza, sono state spazzate via come in una sorta di maleficio, nel quale gli elementi costruttivi e positivi di un progetto sono diventati pericolosi: interagire con l’altro è pericoloso, andare in un luogo pubblico è pericoloso, il mondo fuori da Colle Cesarano è pericoloso. In maniera assolutamente antitetica con i valori terapeutici su cui si fonda il nostro lavoro e quello di tanti colleghi che ogni giorno si prendono cura di persone con patologie psichiatriche.
Per non parlare del “distanziamento sociale”, altro termine entrato di prepotenza nel nostro gergo quotidiano. Che effetto ha avuto sui vostri pazienti?
Con le restrizioni i nostri pazienti hanno iniziato a manifestare insofferenza al sistema di regole: da terapeuti, alleati e strumenti per l’emancipazione e l’autonomia siamo per loro diventati per loro dei persecutori. A proposito di restrizioni, non c’è da sottovalutare l’effetto del distanziamento sociale imposto dalla necessità di evitare la diffusione del contagio che sottrae contatto fisico e gesti di affetto. Un divieto che sta avendo ripercussioni sul benessere psichico dell’intera popolazione. Si è parlato e documentato molto l’aspetto epidemiologico della pandemia, con dati e bollettini quotidiani, ma non c’è stata una giusta attenzione a cosa significa il distanziamento sociale, soprattutto per le categorie più fragili e sensibili come gli anziani o gli adolescenti.
In che modo la pandemia sta condizionando la vita dei ragazzi?
Pensiamo ai ragazzi di 15 -16 anni che, fisiologicamente, si trovano in un momento delicato del loro sviluppo psico-emotivo con insicurezze, timore di non essere accettati, bisogno di relazionarsi con i coetanei. Tutte le debolezze sono state amplificate dalla pandemia. Il solo contatto visivo, senza la bocca, senza il sorriso, senza la mimica facciale non riesce a essere soddisfacente. Ci si relaziona con una parte frammentata di un viso, non si ha il senso della totalità della persona, soprattutto per le nuove conoscenze.
Un distanziamento che ha pericolosamente spento i rapporti. Quanto sarà dura uscirne?
Tutti noi stiamo vivendo il dramma di cioè che è potenzialmente pericoloso: l’atto di fiducia nei confronti dell’altro (e questo vale anche per gli adulti), che è la premessa fondamentale di qualsiasi rapporto, è diventato un rischio. Ogni conoscenza è stata inficiata dalla paura dell’altro; tutto quello che serve per avere uno scambio, un riconoscimento affettivo passa attraverso la relazione, che non può essere frammentata e a distanza. Ci siamo ritrovati a combattere un nemico invisibile che ci ha reso invisibili agli altri, coprendoci il volto e facendoci stare chiusi dentro casa. Ci siamo ritrovati tutti a vivere in un quello che in sociologia è stato descritto come un “languire”: non siamo né tristi né felici, siamo piatti. Quasi incapaci di provare emozioni, come se il Covid ci avesse spento.
Per non parlare del bombardamento mediatico di questi mesi. Quale impatto ha avuto sui minori?
Soprattutto i bambini e i ragazzi hanno avuto la rappresentazione mentale del virus da immagini drammatiche: i camion che trasportano le bare, i numeri dei morti, i video delle terapie intensive. E si sono ritrovati con l’angoscia di essere untori, portando il contagio dentro alle proprie case, mettendo a rischio la vita dei genitori, dei nonni; vivendo un conflitto interiore tra la voglia di libertà, di leggerezza, di socializzazione, di scoperta del mondo, che è tipica della loro età, e il terrore di distruggere tutto ciò che hanno di solido.
Basterà il vaccino per metterci alle spalle gli effetti del covid sul disagio psichico?
Il vaccino anche sul piano simbolico, sta avendo una grande forza per tutti noi, ma soprattutto per i più giovani: il mondo intero distrutto da un virus malefico, è riuscito a reagire, a trovare un’arma per sconfiggere il nemico: una sorta di orgoglio dell’umanità che porta speranza e coraggio, soprattutto ai ragazzi di oggi che saranno le donne e gli uomini di domani, oserei dire, sopravvissuti alla terza guerra mondiale.