Nei giorni scorsi, Matteo Salvini e il partito Radicale hanno presentato e depositato in Cassazione i 6 quesiti referendari per riformare la giustizia: la responsabilità civile diretta dei giudici, la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, la revisione della custodia cautelare per limitarne gli abusi, l’abrogazione della legge Severino per spezzare la subalternità del potere legislativo ed esecutivo a quello giudiziario, il voto per i membri non togati dei consigli giudiziari e l’abolizione della raccolta firme per le liste dei magistrati.
A quasi trent’anni dal funesto anniversario dell’inchiesta di Mani Pulite sulla cosiddetta “Tangentopoli”, inaugurata con l’arresto di Mario Chiesa il 17 febbraio 1992, la strana alleanza tra Radicali e Lega, così lontani ma anche così vicini, con uno stupefacente paradosso in perfetto stile “pannelliano”, potrebbe finalmente mettere fine a uno scandaloso squilibrio dei poteri statuali che ha mandato in rovina la classe politica del pentapartito, che aveva condotto l’Italia verso lo sviluppo e il benessere tra i cinque Paesi più sviluppati del mondo, radendo al suolo le scuole di formazione della classe dirigente a tutti livelli. Uno squilibrio che ha prodotto il fenomeno distruttivo dell’antipolitica e ha reso completamente inerme ciò che restava dei partiti nei confronti del potere giudiziario all’interno e del potere finanziario internazionale all’esterno.
Matteo Salvini e Maurizio Turco hanno scelto forse il momento storico migliore per riproporre i referendum sulla giustizia giusta, frutto della battaglia garantista di Marco Pannella prima e di Bettino Craxi e di Silvio Berlusconi poi, in quanto la magistratura è ormai totalmente screditata dalle lotte intestine e correntizie, raccontate nel libro di Sallusti-Palamara “Il Sistema”, che dipinge un superpotere assolutamente autoreferenziale, concentrato solo sulla conservazione dei suoi privilegi “legibus soluti” e di casta apparentemente irriformabile.
Nel frattempo, PD e M5S non hanno esitato a definire i quesiti un attacco alla magistratura, sì, probabilmente a quella magistratura con cui hanno da sempre una cinghia di trasmissione diretta per perpetuare lo scambio tacito tra immunità sostanziale e mantenimento dei privilegi di casta superiore.
Oggi invece il consenso popolare alla base dell’oggetto dei referendum potrebbe dare coraggio ai parlamentari liberi e non ricattabili per ricostituire secondo i dettami del presidente Francesco Cossiga, un equilibrio tra i poteri dello Stato, ridando credibilità e onore all’ordine giudiziario mediante la responsabilità dei propri comportamenti.
Tuttavia l’eterogeneità della maggioranza a sostegno del governo Draghi rischia di rendere molto arduo giungere ad una riforma profonda della giustizia, pertanto la raccolta di firme dei referendum potrebbe costituire una base legislativa di riferimento per il prossimo governo di centrodestra, che oltre a perseguire costantemente l’interesse nazionale, dovrà restituire ai cittadini la facoltà di scegliere direttamente i propri rappresentanti e i propri governanti senza alchimie e intermediazioni parlamentaristiche, assembleari e consociative, ridando un significato vivo al principio costituzionale della sovranità popolare.