*Il testo integrale del documento consegnato dal presidente di Anci, Andrea De Caro, a Palazzo Chigi
La Repubblica italiana, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali (art.5 Costituzione) è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato (art.114 Costituzione).
In tale contesto, nel corso di oltre 70 anni di vita della più bella Costituzione del mondo, la figura del sindaco è diventata sempre più centrale ed essenziale nel sistema democratico.
Tant’è che negli anni in cui le istituzioni e il sistema dei partiti venivano travolti dalla bufera giudiziaria di “mani pulite”, l’introduzione dell’elezione diretta del sindaco ha consentito di creare un legame forte fra elettore ed eletto, rafforzando autonomia e responsabilità con l’obiettivo di rinnovare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Oggi, quel modello di governo risulta l’unico in grado di garantire governabilità e alternanza e, a distanza di quasi trent’anni dalla sua introduzione nel nostro ordinamento, presenta ancora elementi di innovazione, soprattutto nel rapporto tra amministratore e comunità amministrata.
Il sindaco è, nei fatti, l’architrave della comunità che rappresenta, accogliendo su di sé i bisogni e le domande, nonché le sfide per la sua crescita e il suo progresso.
Alla luce del bilancio, ampiamente positivo, di questa esperienza, avviata con la legge 25 marzo 1993 n. 81, vorremmo rivolgere, ancora con più forza che in passato, al Parlamento e al Governo, alcune domande e richieste particolarmente impellenti per il proficuo prosieguo di questa storia.
I nostri compiti sono cresciuti in modo esponenziale in un contesto di riduzione di risorse umane e finanziarie, e in un quadro di regole spesso confuso e contraddittorio. Così i sindaci, nell’immaginario collettivo, sono i responsabili di tutto, al di là delle proprie effettive competenze.
Il nostro disagio che, qualche volta sfocia in avvilimento, deriva dalla consapevolezza di non poter corrispondere alla fiducia che i cittadini ripongono in noi. Pur volendo onorare il patto fiduciario che ci lega alle nostre comunità non siamo messi in condizione di farlo compiutamente.
Alcuni mesi fa, ben 4 mila sindaci hanno firmato un appello che denunciava l’eccesso di esposizione e di responsabilità in sede giudiziale a cui siamo chiamati. Non abbiamo chiesto né l’immunità né l’impunità, abbiamo solo chiesto di liberare i sindaci dal peso di responsabilità non proprie.
Oggi, aspettiamo ancora che il legislatore si faccia carico dell’approvazione rapida di alcune norme specifiche, che aiutino tutti noi a svolgere al meglio il nostro ruolo, soprattutto, in modo adeguato a quello che i nostri cittadini si aspettano. Insomma, adeguate al passo dei sindaci. Cioè a quel passo che può spingere il nostro Paese verso la modernità, verso il futuro.
Sostanzialmente, chiediamo l’affermazione concreta di un principio di eguaglianza e di pari dignità con le altre cariche elettive e di governo.
In particolare l’adozione di norme che stabiliscano:
- Il medesimo regime sanzionatorio applicato agli altri organi elettivi e di governo in caso di procedimenti penali.
- La possibilità per i sindaci sopra i 20 mila abitanti di candidarsi in Parlamento, così come avviene per i Presidenti di Regione, esercitando successivamente il legittimo diritto di opzione.
- La possibilità per i sindaci sino a 5 mila abitanti di fare più mandati e sino a 15 mila abitanti di farne tre. Decideranno gli elettori/cittadini se quel sindaco ha fatto bene o male, come in ogni democrazia matura.
- Uno status giuridico ed economico proporzionato alle responsabilità e alle funzioni.
Inoltre, chiediamo una migliore agibilità istituzionale ed amministrativa, fondata su una diretta corrispondenza fra azione amministrativa ed eventuali imputazioni di responsabilità, in stretto ossequio al principio di legalità.
Al peso quotidiano, nello svolgimento di un ruolo tanto complesso quanto esaltante, non può più sommarsi uno stato di costante incertezza derivante da norme, contraddittorie e poco chiare, magari appesantite da successiva giurisprudenza.
Da anni si susseguono casi e fattispecie che vedono i sindaci, gli amministratori e i dirigenti destinatari di provvedimenti relativi a imputazioni di responsabilità in sede penale, civile, amministrativa ed erariale che si concludono nella stragrande maggioranza con archiviazioni. In tale contesto, emerge la debolezza o l’assenza del nesso di causalità fra la condotta censurata e l’evento, mentre i sindaci risultano sempre responsabili per l’esercizio o il mancato esercizio di un potere, molto al di là dei compiti e delle responsabilità.
Sappiamo bene che non c’è su questo una sola risposta e che la questione investe un ambito molto più esteso come quello relativo al funzionamento della giustizia e alla riforma della stessa.
Proponiamo su questo tema:
5. Un intervento sui poteri di ordinanza sindacale, ai sensi degli articoli 50 e 54 del TUEL che delimiti la responsabilità, ai soli casi specificamente previsti dalla legge, di esercizio o mancato esercizio del relativo potere.
6. Una precisa definizione che qualifichi l’attività di indirizzo politico e l’attività di gestione amministrativa.
Su queste 6 richieste specifiche, su cui ANCI ha lavorato da tempo predisponendo apposite proposte di norme, chiediamo al Governo e al Parlamento, ai tutti i gruppi parlamentari di maggioranza ed opposizione un impegno formale e concreto che porti all’adozione nell’arco dei prossimi tre mesi di un decreto legge.
Non lo chiediamo per noi, lo chiediamo per l’Italia perché se liberiamo i sindaci, si liberano le energie delle loro comunità.