Già nella stagione finale della Seconda guerra mondiale, e ancor più negli anni successivi, si è favoleggiato delle cosiddette “armi segrete dell’Asse”. Hitler le magnificava per dare forza alle ultime illusioni del suo Reich millenario, e le voci di prototipi rivoluzionari e fantasmagorici di missili, aerei si sono rincorse (temute o vagheggiate) a partire dalle prime sconfitte delle armate tedesche.
Anche in Italia non sono mancate simili fantasie (che tanto fittizie non erano, se si pensa al livello raggiunto dagli scienziati teutonici nella corsa alla bomba atomica), basti pensare al famigerato “Raggio della Morte” che sarebbe stato inventato da Marconi, e del cui progetto sarebbe stato a sua volta in possesso Mussolini.
Tutti argomenti, questi, sui quali presunti memoriali, documenti di dubbia provenienza, studi più o meno autorevoli, oltre a concrete investigazioni storiche, hanno versato i proverbiali fiumi d’inchiostro.
Non appare dunque strano che il fascino vintage – al limite dell’ucronia e del “cosa sarebbe successo se…” – di quei misteri abbia catturato anche la penna di Franco Forte e Vincenzo Vizzini, inducendoli a scrivere un giallo – “L’uranio di Mussolini” (Mondadori, 516 pg., 20 euro) – ambientato nella Sicilia infuocata del 1934, e che ruota proprio attorno al miraggio della costruzione della prima arma nucleare. Prerogativa che secondo il volere del Duce, deve appartenere all’Italia fascista, ça va sans dire.
Ecco, dunque, che nella storia fa la sua comparsa persino il celebre gruppo dei ragazzi di via Panisperna, con in prima fila Enrico Fermi, invischiato in macchinazioni che, come accade spesso nei thriller, si agganciano – e iniziano fatalmente a sfilacciarsi – con l’accadere di un opaco omicidio, solo in apparenza ordinario.
In questo senso, “L’uranio di Mussolini” contiene davvero tutti gli ingredienti del giallo classico: un commissario sornione e acuto, Vincenzo Ibla, costretto a indagare mentre infuria un’estate bollente. Una vittima che si rivela essere una vecchia conoscenza proprio del suddetto commissario. E il terzo incomodo, Franco Durante, referente del regime che si occupa di supervisionare le indagini e che ovviamente è più di quel che sembra.
A partire da questa ricetta rodata, la trama decolla ben presto verso i lidi non solo dell’intrigo internazionale, ma anche delle nebbie entro cui si nascondono ancora oggi pezzi poco conosciuti (ma non meno veri) di Storia. Perché Forte e Vizzini romanzano, sì, ma fino a un certo punto, e nel mischiare le carte tra plausibile, certo e invenzione, ricreano uno scenario dove la soluzione dell’enigma nascosto dalla cosiddetta “Operazione Ausonia”, si cela proprio nel bel mezzo di una Sicilia da Strapaese.
Nonostante la mole sostanziosa, dunque, o forse proprio per il volume di una storia sviluppata senza fretta, lungo le sue circa 500 pagine, “L’uranio di Mussolini” risulta un godibilissimo giallo a tinte storiche, scritto senza deviazioni cervellotiche, e apprezzabile anche per chi non sia troppo addentro alle ombre del Ventennio. Consigliato.