Con celerità, senza confronto politico ed a suon di fiducia, sono stati licenziati i DDL relativi alle riforme del processo penale e civile. Ancora una volta si è scelta la via più semplice per incidere nella cronica situazione di stallo della giustizia italiana, non senza scelte che subiranno di certo il vaglio della Corte costituzionale su ricorso dei malcapitati concittadini i cui diritti e doveri scontano norme sostanziali ante Seconda guerra mondiale e riti processuali rimaneggiati (processo civile) o riformati e rimaneggiati (processo penale).
Per sbloccare i fondi UE, sul sacrosanto presupposto di una giustizia efficiente preteso dall’Unione, si è scelta la soluzione economica di un ritocco, lasciando in vigore, per tornaconto politico, provvedimenti recenti, ad esempio la riforma della prescrizione penale Bonafede, in attesa dei primi ricorsi di costituzionalità.
L’improcedibilità processuale, una sorta di corsa contro il tempo del processo penale, è l’innovazione che dovrebbe calmierare gli effetti fatali del fine processo mai della riforma Bonafede e si prospetta al momento come una promessa di estinzione dei processi pendenti, difficile, infatti, che regga il vaglio costituzionale l’applicabilità solo per il futuro, visto il principio consolidato del favor rei nella legge penale e che difficilmente Tribunali, Corti d’Appello e Corte di Cassazione riusciranno a smaltire gli oltre 2,5 mln di procedimenti penali pendenti oggi.
E’ facile prevedere che ogni imputato cercherà di difendersi dal processo, chiedendo l’applicabilità della riforma Cartabia anche per i procedimenti già pendenti. Il tutto sembra un rinvio al dopo 2023, quando alcuni auspicano un Parlamento non più a trazione 5S, quindi meno giustizialista e più garantista. Questo strizzando l’occhio ai cordoni della borsa dell’Unione che si allenteranno comunque per erogare i fondi PNRR, perché tradotte in inglese le nuove norme processuali suoneranno benissimo.
L’elenco dei ritocchi del processo penale si estende ai riti premiali alternativi, alle pene accessorie ed alle misura alternative al carcere: anche qui il progetto non è affatto disprezzabile, il timore resta per l’applicazione pratica e le obiettive difficoltà di recupero e reinserimento del cittadino dopo la condanna, ma come scritto più volte, se non c’è una riforma di sistema estesa al codice penale, ogni riforma sconterà i quasi 100 anni di differente concezione tra il legislatore del 1930 (entrata in vigore del codice penale) e quello odierno.
Sulle riforme al processo civile – circa due milioni quelli pendenti – si registra l’ormai cronico disinteresse della politica per i diritti lesi dei cittadini, spesso contenziosi non di grande valore, ma la cui rapida soluzione incide sulla vita di tutti i giorni e spesso scatena tragedie o rovina intere esistenze.
Qui il legislatore ha inteso acuire la negoziazione, delegando ai privati la risoluzione delle controversie, sul presupposto “meglio mettervi d’accordo che fare la causa”. Infatti, il contraltare di questa privatizzazione della giustizia civile sono interventi procedurali che aumentano gli ostacoli e le decadenze processuali e le ammissibilità dei mezzi d’impugnazione.
A regime le riforme del processo civile potrebbero raggiungere gli obiettivi dell’Unione di un processo civile rapido, semplicemente perché sempre più cittadini rinunceranno a far valere i loro diritti perché i costi del processo e le cervellotiche dinamiche del contenzioso renderanno più economica la soluzione al ribasso delle “negoziazioni” o la rinuncia alla tutela del diritto.
Difficile sperare che imprenditori stranieri in questo quadro d’incertezza sceglieranno l’Italia per investire: prendiamoci quello di buono che hanno i DDL giustizia – i necessari fondi dell’Europa -, alla fine questo era lo scopo del Governo e su questo ha sicuramente ben operato.