Soffia vento gelido dall’est Europa. E non solo in termini metereologici, con il generale inverno che presto tardi arriverà anche nel cuore del Vecchio continente, ma soprattutto in termini politici, i cui effetti sono già all’attenzione delle istituzioni di Bruxelles.
Con una rivoluzionaria sentenza dello scorso 7 ottobre, la Corte Costituzionale di Varsavia ha sancito, senza mezzi termini, che gli organi dell’Unione europea operano al di fuori dei limiti dei poteri ad essa conferiti dalla Repubblica di Polonia e, stante il sovraordinamento delle leggi comunitarie su quelle polacche (come in tutti i paesi dell’Unione), la Repubblica non può funzionare pienamente come stato sovrano e democratico.
La pronuncia prende le mosse da una richiesta di compatibilità del diritto comunitario con quello polacco avanzata dal Governo guidato da Mateusz Morawiecki e, nello specifico, è stato chiesto ai supremi togati della Sąd Najwyższy (la Corte suprema) se l’art. 19 del Trattato sull’Unione europea (TUE) fosse o meno compatibile con il sentire giuridico della Repubblica, ovvero se secondo la Costituzione debba essere assicurata (o meno) esecuzione alle pronunce della Corte di Giustizia all’interno dei confini polacchi.
Il punto politico non è banale: la richiesta di conformità costituzionale è stata posta in relazione al principio di cooperazione giudiziaria tra Polonia e Unione europea (art. 19 del TUE) incidendo – però – nel più ampio novero del principio di leale cooperazione, secondo il quale l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Gli Stati membri, ai sensi del terzo paragrafo dell’articolo 4 del TUE (anch’esso sotto esame), adottano ogni misura atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione. Nel far ciò, ogni Stato membro è chiamato a facilitare l’adempimento dei compiti da parte dell’Unione, astenendosi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione.
“Il Trattato dell’UE è subordinato alla Costituzione nel sistema giuridico polacco … e, come qualsiasi parte del sistema giuridico polacco, deve conformarsi alla stessa Costituzione“, ha affermato il giudice Bartłomiej Sochański, secondo la testimonianza raccolta Reuters. “In Polonia l’atto giuridico più alto è la costituzione e tutte le normative europee in vigore in Polonia devono essere conformi alla costituzione“, ha fatto eco Jarosław Kaczyński, il leader del partito di governo Legge e giustizia (PiS).
Le avvisaglie di tale epilogo c’erano già. Qualche mese fa la Corte suprema polacca aveva rigettato una sentenza ad opera della Corte di Giustizia proprio sull’art. 19 del TUE, ritenendolo contrario alla propria Costituzione. In quell’occasione i giudici del Lussemburgo avevano stabilito che la Corte suprema di Polonia non garantiva l’indipendenza e l’imparzialità dei suoi giudizi. Accuse non solo rispedite al mittente, ma adesso rafforzate con la fine – per via giurisprudenziale – della cooperazione giudiziaria.
Sfidare il primato del diritto dell’UE, uno dei pilastri dell’integrazione nell’UE, naturalmente, solleva interrogativi sul futuro posto della Polonia tra i 27 membri. La Commissione UE, appena avuto notizia della sentenza, ha difeso e ribadito i principi fondanti dell’ordinamento giuridico dell’Unione, ovvero la predominanza del diritto dell’UE su quello nazionale e di tutte le sentenze della Corte di giustizia, vincolanti per tutte le autorità degli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali.
In attesa dell’esito del braccio di ferro, inizia una strada in salita per tutti, il cui culmine – la Polexit – rappresenta solo l’ultima ratio. E con essa l’addio a 40 miliardi di fondi UE già pronti da spendere.