Questa volta il cambiamento climatico non c’entra nulla: il rischio di desertificazione della Sicilia è concreto e tangibile, non tanto in termini ambientali, quanto più di vertiginoso calo della popolazione residente, migliaia di persone che, anno su anno, muoiono, non nascono o attraversano lo stretto in cerca di maggiore fortuna nel Continente.
A certificarlo è l’ISTAT che, in un recente aggiornamento sui dati sulla popolazione residente, ha messo nero su bianco quello che tutti gli isolani temevano: la Sicilia non è una terra per giovani, un’intera generazione che sta progressivamente abbandonando il paese natio in cerca di maggiori chance altrove: negli ultimi 10 anni sono stati persi 300 mila residenti, e nei prossimi 40 anni il calo sarà ancora più vistoso, arrivando a un milione e mezzo di siciliani in meno, cosa che porterà l’isola a contare qualcosa come 3 milione e mezzo di abitanti, rispetto ai quasi 5 milioni di oggi.
A preoccupare maggiormente rispetto al passato, è il fatto che chi decide di fare la valigia non è soltanto chi abita nelle zone interne e più solitarie della trinacria, ma anche chi vive nelle città. Palermo, nell’ultimo decennio, ha perso 91 mila abitanti, Catania 24 mila. Non solo emigrazione, ma anche meno nascite. In sicilia (come nel resto d’Italia) si fanno pochi figli, per cui il saldo tra nati e morti è sempre più negativo.
“Sin da quando ho iniziato gli studi universitari in Ingegneria Elettronica sapevo che avrei dovuto allontanarmi da casa per costruire il mio futuro, purtroppo, e così è stato” afferma Serena Assanto, giovane siciliana emigrata a Roma nel 2012. “Una volta laureata ho fatto colloqui per 8 mesi in giro per l’Italia, e di questi colloqui solo uno in Sicilia (a fronte di centinaia di curriculum inviati alle realtà locali), per poi approdare nella Capitale, dove vivo felicemente da quasi 10 anni e in cui ho trovato la mia realizzazione professionale.” ha continuato la giovane.
Ogni anno la Sicilia perde 31 mila residenti, come se l’intera città di Cernusco sul Naviglio sparisse di colpo. Nemmeno gli immigrati aiutano ad accrescere la popolazione residente, come accade in molte altre aree italiane: essi, infatti, utilizzano l’isola soltanto come primo punto di approdo, per poi prendere il largo verso altre regioni se non in altri paesi europei, più prosperi e in grado di garantire migliori condizioni di vita.
“In merito a questa tematica, quello che desta preoccupazione” – sottolinea la deputata siciliana Daniela Cardinale (MISTO – CD) – “è che lo spopolamento non riguardi più solamente le piccole comunità ed i nostri borghi, ma anche le città maggiori come la stessa Palermo. Credo che gli aspetti che spingono a questo spopolamento siano diversi: indubbiamente il calo delle nascite, che seppur sia un problema che riguarda l’intero Paese, in Sicilia viene percepito maggiormente. A ciò si aggiunge lo sfruttamento lavorativo, l’inadeguatezza dei collegamenti stradali (su diverse incompiute, infatti, ho sollecitato il Ministero ad intervenire) e quindi l’impossibilità di garantire molto spesso i servizi essenziali: penso all’offerta formativa, che si polarizza solo nelle città maggiori, la cui mancanza spinge i nostri ragazzi a spostarsi altrove”.
“Quello che la politica deve fare” – prosegue Cardinale – “è preoccuparsi di sostenere una maggiore efficienza dei servizi. Per farlo c’è bisogno intanto di non farsi sfuggire finanziamenti nazionali e comunitari – ed in questo la regione Sicilia, é un fatto acclarato, da anni registra risultati totalmente insoddisfacenti -: in secondo luogo bisogna impegnarsi a condurre una battaglia senza precedenti contro precariato e lavoro nero. È una piaga che fino a che non sarà estirpata – conclude la parlamentare – bloccherà lo sviluppo sociale ed economico della nostra terra”.
In attesa di comprendere come e se verranno adottate politiche di sostegno alla popolazione residente, non resta che rileggere forse un grande figlio di questa terra, Leonardo Sciascia, convinto di come la Sicilia offra la rappresentazione di tanti problemi, di tante contraddizioni, non solo italiani ma anche europei, al punto da poter costituire la metafora del mondo odierno.