Manca poco più di un mese alla scadenza del mandato di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica e – con crescente ansia per assicurarsi nella carica una personalità “amica” – la politica italiana pare tutta concentrata e in fibrillazione per la scelta del successore.
Tra proposte di “patrioti” da un lato e nostalgie di Sandro Pertini dall’altro – nostalgie che fanno venire in mente la candidatura di Amedeo Nazzari in una vecchia gag di Corrado Guzzanti: “Volevo ricordare a tutti i compagni della mozione Nazzari, che Amedeo Nazzari è morto! Era perfetto, ma è morto… E pazienza…” – resta sempre sul tappeto, tra le ipotesi più accreditate, la possibile salita al Colle di Mario Draghi.
Certo, quello di Draghi verso il Quirinale è un percorso non facile, ricco di ostacoli e non privo di controindicazioni. A partire dalla necessità di trovare subito un suo sostituto alla Presidenza del Consiglio, con la concreta eventualità di elezioni anticipate. Elezioni che nessuno pare volere, al momento, nemmeno quel centrodestra che i sondaggi paiono indicare come eventuale vincitore quasi certo.
La recente proroga dello stato di emergenza fino a marzo 2022 – quindi in data successiva a quella prevista per l’elezione del Presidente della Repubblica – pare andare proprio in direzione di uno stop alla candidatura Draghi per il Colle. Sembra, infatti, fatta apposta per “costringere” SuperMario a restare a Palazzo Chigi, essendo l’unico – dato il suo profilo super partes – a poter gestire in modo autorevole e senza contraccolpi politici, uno “stato di eccezione”.
Nonostante ciò, le alternative sembrano restare un po’ al palo. Poco verosimile appare l’elezione al Quirinale di Silvio Berlusconi, usato come candidato di bandiera dal centrodestra, ma senza molte possibilità di ottenere davvero un consenso anche a sinistra, col PD e M5S che ben difficilmente riuscirebbero a giustificare un voto per lui ad un proprio elettorato che, per decenni, è stato compattato e galvanizzato proprio dall’antiberlusconismo.
Qualche chance di successo in più potrebbe avere la candidatura di Pierferdinando Casini, democristiano di lunghissimo corso, già presidente della Camera – carica che è spesso stata un buon viatico per venire poi eletti in Quirinale – per diverso tempo schierato a destra, ma negli ultimi anni avvicinatosi al centrosinistra e, perciò, capace di poter raccogliere amicizie e consensi su entrambi i fronti.
Nonostante sembrino accomunati da analoghi consensi e simpatie bipartisan, non ci potrebbero essere due candidati presidenti più diversi di Pierferdinando Casini e Mario Draghi.
Il primo, infatti, rappresenta la quintessenza della politica di palazzo, l’uomo che ha lungamente militato e persino fondato partiti, il deputato eterno – eletto ininterrottamente dal 1983 – colui che Wikipedia definisce: “il politico con alle spalle la più lunga esperienza tra quelli presenti nei due rami del Parlamento italiano”.
Mario Draghi è invece l’uomo senza tessere di partito e senza scranni in Parlamento – né presenti né passati – una sorta di neofita e di outsider della politica, dal grandissimo prestigio internazionale, grazie anche alla sua presidenza della Banca d’Italia prima e della BCE poi.
Il suo profilo può ricordare, sotto molti aspetti, quello di un altro Presidente della Repubblica, quel Carlo Azeglio Ciampi, anch’egli banchiere, anch’egli ex governatore della Banca d’Italia, anch’egli lontano dai partiti, chiamato a Palazzo Chigi prima e al Quirinale poi, in un altro delicatissimo momento politico per il nostro Paese.
Lo stesso Ciampi, però – sebbene in un periodo assai remoto della sua vita, rispetto a quello della sua elezione al Colle – aveva comunque avuto modo di militare in un partito: il Partito d’Azione. Erano gli anni della Resistenza prima e della nascita della Repubblica poi. Salvo non prendere nessuna tessera quando quel movimento politico si sciolse, nel 1947. Ciampi, d’altronde, non nascose mai – nel corso di tutta la propria carriera – una sempre viva vicinanza e simpatia per il centrosinistra, sebbene non più iscritto a nessuno dei partiti facenti parte di quell’area politica.
Mario Draghi, dunque, potrebbe essere, non solo il primo Presidente della Repubblica che non abbia mai militato in un partito politico, ma anche il primo a non avere mai dichiarato esplicite simpatie per questo o quello schieramento.
Dopo tanti presidenti democristiani o ex DC – da Gronchi a Segni, da Leone a Cossiga, a Scalfaro e allo stesso Mattarella – un paio di liberali – tali furono Enrico De Nicola e Luigi Einaudi – il socialdemocratico Saragat, il socialista Pertini e il comunista Napolitano, l’eventuale presidenza di Mario Draghi segnerebbe un punto di svolta, con la prima elezione di un Presidente della Repubblica totalmente “no logo”.
Ben difficilmente il centrosinistra potrebbe assegnarsi l’eventuale vittoria di SuperMario come quella di un proprio uomo, uno “di area” – cosa che in buona misura avvenne, invece, durante la presidenza Ciampi – e ancor più difficilmente potrebbe farlo il centrodestra. Sarebbe dunque un’elezione “senza vincitori né vinti”.
Saranno sufficienti questi elementi per far convergere le forze politiche attorno alla figura di Mario Draghi?Oppure prevarranno quelle “controindicazioni” di cui parlavamo all’inizio e i partiti opteranno per un profilo diverso e una diversa personalità? Lo scopriremo fra poche settimane, subito dopo le feste natalizie, quando il tempo per l’attuale pretattica sarà esaurito e, in Parlamento, cominceranno le votazioni per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica Italiana.