Una serpe in seno. O meglio, nell’epoca dell’innovazione, una spia in tasca. Sarà capitato a tutti come, dopo aver a lungo chiacchierato sulla prossima vacanza, su un regalo da fare o su un nuovo vestito da acquistare, collegandosi al web abbiamo curiosamente notato come la Rete ci proponesse proprio quei servizi e prodotti di cui chiacchieravamo sino a qualche giorno prima.
Capacità divinatorie di Internet? No secondo il Garante per la protezione dei dati personali che, nelle scorse settimane, ha voluto accendere un faro sul cono d’ombra che sembra nascondere i meandri della rete.
Non si tratta di paranoie ma di app per smartphone progettate – oltre che per offrire giochi, divertimenti e piccoli servizi, anche per captare subdolamente le nostre conversazioni per poi rivendere le informazioni sui nostri gusti, desideri e sogni a società terze, frammenti di vita (e di conversazioni) utilizzate per confezionare proposte commerciali fatte su misura per noi.
Al centro delle indagini dell’Autorità di Piazza Venezia alcune app “rubadati” che consentono ai microfoni degli smartphone di rimanere sempre accesi a carpire informazioni. Un fenomeno sempre più diffuso, anche a causa della disattenzione con cui leggiamo (o meglio non leggiamo) le condizioni contrattuali delle applicazioni.
Molte app, infatti, tra le autorizzazioni di accesso che richiedono al momento del download, inseriscono anche l’utilizzazione del microfono. Una volta che si accetta, senza pensarci troppo e senza informarsi sull’uso che verrà fatto dei propri dati, il gioco è fatto.
I sensori degli smartphone (e in particolare i microfoni) – ricorda il Garante – possono rimanere attivi anche quando non stiamo utilizzando il nostro dispositivo. In questo modo potrebbero essere utilizzati per raccogliere informazioni, utilizzabili per diverse finalità anche da terzi: ad esempio per attività di marketing. Quello delle app che, tra le autorizzazioni di accesso richieste al momento dell’installazione, inseriscono anche l’utilizzo del microfono, è un fenomeno diffuso. Troppo spesso, come utenti, concediamo questi permessi senza pensarci troppo e senza informarci sufficientemente sull’uso che verrà fatto dei nostri dati.
Proprio su questo il Garante per la privacy ha posto la sua attenzione. Su questo illecito uso di dati che si sta facendo alle spalle di persone ignare, già all’attenzione dei suoi uffici, il Garante ha avviato un’indagine dopo che un servizio televisivo e diversi utenti hanno segnalato come basterebbe pronunciare alcune parole sui loro gusti, progetti, viaggi o semplici desideri per vedersi arrivare sul cellulare la pubblicità di un’auto, di un’agenzia turistica, di un prodotto cosmetico.
Tutto ciò ricorda la trama del film premio Oscar “Vite degli altri”, che narra come un agente della polizia segreta tedesca Stasi, registrando ogni conversazione di una coppia di ignari cittadini teutonici, era capace di interferire, prevedendo le loro azioni, nelle loro vite.
L’istruttoria avviata dall’Autorità, in collaborazione con il Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza, prevede l’esame di una serie di app tra le più scaricate e la verifica che l’informativa resa agli utenti sia chiara e trasparente e che sia stato correttamente acquisito il loro consenso. Nel frattempo, il Garante ha predisposto una scheda informativa per mettere in guardia tutti gli utenti: attenti! sembra dire, oggi chi ascolta non è il nemico ma il telefono.