Mentre le borse crollano ed i venti di guerra soffiano sempre con maggior forza su Taiwan e sull’Ucraina, una Roma spettrale, chiusa per fame e Covid, ha ospitato le prime votazioni per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica.
Il tempo della democrazia non è mai un tempo vuoto, ma ci sono momenti in cui il confronto democratico deve essere accantonato proprio in nome del mantenimento della democrazia stessa. Questo è quel tempo. Inutile prendersi in giro senza Mario Draghi stabilmente al vertice delle nostre istituzioni la trasfusione di sangue del Pnrr finanziato dall’ Unione Europea rischia uno stop.
Il rischio di questi tempi è l’irrilevanza e l’Italia da tempo non è più parte attiva della politica internazionale, piegata su stessa, stracciata da lotte intestine, priva di un progetto chiaro di ricollocazione dopo la deindustrializzazione selvaggia. Proprio quella vocazione manufatturiera ci aveva consentito una certa presenza di rilievo internazionale, dopo la tragica sconfitta patita nella Seconda guerra mondiale.
L’Italia democratica del boom economico si era guadagnata stima e rispetto, quel credito si è eroso ed oggi le pochissime realtà economiche autoctone possono solo sperare in un mercato di saldi di fine stagione, sparigliate tra acquirenti esteri e residui proprietari dal cuore italiano ed il cervello all’estero.
Difficile in questo contesto immaginare un qualsivoglia futuro per le residue PMI che rappresenteranno l’unica imprenditoria residua di bandiera, se resisterà allo stress micidiale di Covid, inflazione e mancanza di materie prime.
Mario Draghi, con il suo prestigio internazionale, è al contempo garanzia per la stabilità italiana all’estero e per la sopravvivenza degli attuali attori della politica italiana. La legislatura deve proseguire fino al naturale termine con un governo a trazione del premier e, possibilmente, lo stesso Mario Draghi al Colle per i prossimi sette anni.
Il dramma italiano non si risolverà nel tempo della legislatura e la prossima legislatura ha necessità del commissariamento di fatto delle intemperanze della politica per garantire all’Italia di contare ancora qualcosa nel futuro del pianeta. Il mondo di domani si avvia alla plutocratica gestione di soggetti privati multinazionali di ampli aspetti della vita degli abitanti di tutte le nazioni.
La rivoluzione tecnologica in atto palesa la necessità di una revisione dei fondamentali delle libertà personali, è bene chiarirlo, con un annichilimento dell’io, in favore di una visione massiva delle necessità di ognuno. Se la politica avesse voluto mantenere il controllo non avrebbe dovuto accettare la ristrutturazione imposta dal Next Generation EU, pacta sunt servanda.
Ora, giusto o sbagliato, scelta quella strada bisogna procedere con le riforme che certamente possono non piacere, ma sono necessarie per sopravvivere all’evoluzione del mondo economico. L’importante è fare presto e dare il segnale che l’Italia c’è e si mette in riga.
Alla politica il compito di metter a frutto questa traversata nel deserto per coltivare idee e selezionare una classe dirigente futura e quelle riforme – ad esempio l’evoluzione in Repubblica presidenziale – che appare necessaria per garantire stabilità. Eleggere ogni 5 anni un Presidente della Repubblica che diriga ed ispiri il governo della nazione fino a fine mandato, garantirebbe cicli politici uniformi ed attuazione delle leggi promulgate.
Questo almeno fino all’auspicata devoluzione ad una confederazione degli Stati che compongono l’Unione Europea. Chiunque sarà il nuovo Presidente della Repubblica occorre eleggerlo al più presto, tutelando l’attuale premier per far sì che nei prossimi anni si tenga la barra dritta verso gli obiettivi dell’attuale governo.
Ecco perché immaginare Mario Draghi Presidente della Repubblica è un buon progetto per i partiti, così come un governo presieduto da un premier che porti a termine la legislatura sugli obiettivi dell’insediamento dell’attuale.